Dopo la sconfitta elettorale del Partito democratico che tra l’altro ha perso il governo di 22 province, molti opinionisti si affannano a dare consigli al suo gruppo dirigente. Nessuno, però, sembra capire sino in fondo la crisi culturale e politica in cui è precipitato non volendo analizzare gli errori commessi negli ultimi diciassette anni, prima ancora, cioè, della discesa in campo di Berlusconi. La mancata evoluzione socialista del vecchio Pci nei primi anni ’90 e il tentativo della sinistra democristiana di cancellare la propria memoria politica, ha prodotto un partito che non sa più cos’è dopo una lunga cavalcata tra mille nomignoli (l’Ulivo, l’Asinello, La Margherita e via di questo passo). Non sapendo più cosa era diventato, il vecchio nucleo comunista ha cercato una terza via inesistente (chi non ricorda la riunione a Firenze nel 1999 con Blair e Clinton?) non riuscendo mai a vedere la strada maestra, quella socialista, vittima com’era della vecchia rancorosa scissione di Livorno del 1921. A nulla è valso l’antico insegnamento che ripeteva Pietro Nenni secondo cui la politica non si può fare con i sentimenti e meno che meno con i risentimenti. E invece il risentimento è vissuto e prosperato e continua a essere ancora praticato in tutte le direzioni. Verso la cultura politica del socialismo democratico e verso un centrodestra che sta tentando faticosamente di creare un’identità nuova sganciata dal carisma di Silvio Berlusconi. Il risentimento, però, è sempre un boomerang, perché può distruggere o lesionare l’avversario ma distrugge anche chi lo coltiva. Ed è quello che sta accadendo e dopo anni sembra che lo condivida anche Ernesto Galli della Loggia. A chi contrasta questo nostro ragionamento ricordandoci che tutti i partiti socialisti europei sono in crisi, dobbiamo a nostra volta ricordare che Zapatero, che pure ha perso le elezioni, è al 38,5% e il partito socialista greco è al 36,7%... mentre il Pd è al 26%. Se questo accade in Italia, a Strasburgo, però, il Pd aderisce al gruppo socialista europeo tentando di nascondersi dietro l’aggiunta del termine democratico pensando così di aver scoperto una nuova anima politica. Il tema di un’identità comprensibile, dunque, è centrale nel futuro del Pd. Ignorarlo ha già spinto i Veltroni, i D’Alema, i Marini, i Franceschini e tutti gli altri a sconquassare l’intero sistema istituzionale del Paese nel tentativo di sostituire la politica e il suo primato con le tecnicalità elettorali a proprio uso e consumo. Di qui prima il sistema uninominale maggioritario che esorcizzava l’incubo di una nuova ghettizzazione dei post-comunisti e poi l’invenzione di quel premio di maggioranza che è fuori dalla tradizione delle grandi democrazie parlamentari occidentali. Come sempre capita agli apprendisti stregoni che cercano scorciatoie non politiche per governare (avvenne così anche nel ’92-93), l’eterogenesi dei fini ha messo nelle mani degli altri tutti gli strumenti che si volevano per sé. E sul terreno sono rimasti sistemi istituzionali diversi (presidenzialismi locali senza alcun contrappeso e anomala democrazia parlamentare a livello nazionale in cui il parlamento conta come il due di coppe) con conseguenti diversi sistemi elettorali a uno o a due turni nonché pezzi di riforme, come quella del cosiddetto titolo V della Costituzione, generatrici più di contenziosi istituzionali che non di reale governabilità. In questa confusione il nuovismo, il giovanilismo, il programmismo e tanti altri “ismi” sono solo sciocchi alibi di chi non ha più la bussola politica.
Dalle prime battute congressuali tra Franceschini e Bersani ci sembra di vedere ancora questo cupio dissolvi di una sinistra italiana che invece di includere pezzi diversi di sinistra garantendo democraticamente nel partito e nelle istituzioni tutte le aree di pensiero, segue la strada di un leaderismo sbilenco, quasi sempre inesistente, qualche volta arrogante e sempre escludente. E questo non è un bene per la democrazia italiana.ilgeronimo@tiscali.it
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