Una legge che vuole sfogliare l’album della nostra storia. Una legge che si sofferma sulle pagine, intoccabili per definizione, della Resistenza. E di quel che accadde nella nostra sventurata patria fra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile ’45. Una data lontana ma sempre a portata di mano se ancora lunedì pomeriggio il 25 è stato scomodato per indicare la fine dell’epoca berlusconiana.
Dunque c’è una proposta di legge che è stata parcheggiata per due anni in commissione, che avanza a velocità di lumaca e dovrà fare ancora un bel po’ di andirivieni fra Camera e Senato prima di diventare norma dello Stato. Questo testo finalmente si è sbloccato ed è stato subito coperto dal polverone delle polemiche, delle interpretazioni e delle scintille. Così diventa persino difficile capire quale sia il nocciolo. Il relatore Gregorio Fontana, Pdl, lo spiega così: «Si tratta di mettere ordine nel mondo delle associazioni combattentistiche costituite da reduci di guerra o di prigionia che, fra l’altro, ricevono contributi dallo Stato».
Poca cosa, i tempi sono grami per tutti, anche per chi ha rischiato la vita per l’Italia. Ma non è questo il punto, il problema va oltre i soldi e riguarda la presunta equiparazione fra i reduci di Salò e i partigiani dell’Anpi. In pratica, la norma metterebbe tutti sullo stesso piano, getterebbe i vinti e i vincitori, quelli che stavano dalla parte giusta e quelli che stavano dalla parte sbagliata, nello stesso calderone. Una tesi che Fontana smentisce con sdegno: «Questa storiella è falsa. Destituita di ogni fondamento. È che la sinistra cerca la polemica facile e s’inventa una legge che non c’è. Io nel testo scrivo che queste associazioni debbono riconoscersi nello spirito della Costituzione che è antifascista. Quindi il riconoscimento dei repubblichini è una bufala».
Non importa: giù le mani dalla nostra storia, dalle nostre medaglie, dai nostri valori, gridano i custodi dell’ortodossia. Così la zuffa, che ormai dovrebbe essere consegnata ai libri, si accende. E la storia diventa cronaca. Il passato che non vuole passare incombe e allora c’è chi si diverte sfogliando quell’album e recuperando le imprese di alcuni personaggi, oggi monumenti nazionali, che prima di installarsi saldamente a sinistra militarono dall’altra parte. Torna fuori il Dario Fo parà repubblichino e accanto a lui spuntano alcuni articoli firmati da alcune glorie tricolori, già in cattedra settant’anni fa. Come Eugenio Scalfari che sul settimanale Roma fascista scriveva il 24 settembre 42: «Gli imperi moderni quali noi li concepiamo sono basati sul cardine razza, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza dallo Stato nucleo alle altre genti». O, l’ancora più esplicito Giorgio Bocca: «Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra».
Militanze e articoli remoti che ancora suscitano curiosità. Forse perché la parabola di queste celebrità è un po’ l’autobiografia della nazione, colta con una battuta fulminate dal generale americano Alexander Clark. Un giorno il comandante della V armata Usa in Italia disse a Curzio Malaparte, scrittore ma anche ufficiale di collegamento presso gli alleati: «In Italia ci sono quaranta milioni di fascisti e quaranta milioni di antifascisti».
Com’è come non è, il copione, inesorabile, è lo stesso già visto tante volte.
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