Controcultura

Eraclea Minoa, il gioiello trattato come una discarica

Il parco archeologico in provincia di Agrigento giace nell'abbandono. Eppure i fondi ci sono...

Eraclea Minoa, il gioiello trattato come una discarica

Cattolica Eraclea (Agrigento). La prossima volta che vorrete approfittare di questo effetto collaterale del virus, cioè indurci ad ammirare le bellezze di casa nostra, fate una capatina in Sicilia, fra Agrigento e Sciacca, a una quarantina di chilometri a ovest della giustamente celebrata Valle dei Templi. C'è il sito archeologico di Eraclea Minoa, nel comune di Cattolica Eraclea, un gioiello dell'antichità, con un teatro greco del IV secolo a.C. che per posizione, atmosfera e fascino ha poco da invidiare a quello mondialmente noto di Taormina. Il sito si compone, oltre che del teatro, di un piccolo museo di reperti archeologici (Antiquarium) e di alcuni sentieri ben curati (uno fiancheggiato da pini marittimi) che in parte costeggiano candide e vertiginose falesie di marna.

Per prima cosa dovrete fare il biglietto. L'ingresso costa solo 4 euro. Senonché, se l'accesso al sito è garantito dalle 9 del mattino alle 19, per qualche misterioso motivo la biglietteria è aperta solo fino alle 13. Chi arriva dopo, il biglietto deve farlo online. Per qualche altro misterioso motivo, il sito di riferimento, ecm.coopculture.it, non funziona con gli iPhone. Se si ha la disgrazia di possedere solo quello, niente visita, a meno di tornare il giorno dopo.

Una volta entrati vorrete vedere il teatro greco. Niente da fare: l'intera cavea è occultata da un rivestimento di tubi Innocenti a reggere un coperchio di vetroresina che fa pensare a un ricambio recuperato da uno sfasciacarrozze di astronavi.

Perché? Perché i gradoni sono in blocchi di marna arenacea, una roccia argillosa che la pioggia dilava facilmente. Dagli anni Cinquanta in poi i tentativi di proteggere la costruzione si sono rivelati inefficaci, a partire da una copertura in plexiglass dell'architetto Franco Minissi, che in breve ingiallì e si trasformò in una serra adattissima alla proliferazione di piante infestanti. Rimossa questa, nei primi anni Novanta si depose l'attuale copertura, a carattere provvisorio. È ancora lì. Ogni tanto ne vola via un pezzo. Il metallo arrugginisce e la pioggia sudicia macchia la gradinata. Un orrore.

«Una ferita da sanare», esordisce Roberto Sciarratta, da poco direttore del Parco archeologico della Valle dei templi di Agrigento, di cui il sito fa parte. «La copertura è di 27 anni fa, ed è ancora lì. Certo, sono state fatte delle analisi e di recente un convegno per dibatterne i risultati». Quarantamila euro per le perizie dei danni, mentre nel frattempo ne sono stati stanziati altri 150mila per il rifacimento della biglietteria (che funziona come abbiamo visto) e per sistemare il piccolo museo dell'ingresso, in attesa di fantomatici bookshop, caffetteria, didattica per le scuole. Nel frattempo i visitatori vengono col contagocce. Quasi tutte le auto parcheggiate nello sconnesso piazzale sterrato antistante appartengono a chi scende alla spiaggia di Eraclea, ammantellata da una stupenda pineta. Spiaggia che di recente ha subìto periodi di chiusura causa «danni ambientali», e cioè accumulo di alberi caduti, detriti e erosione della costa.

«Prima la spiaggia era enorme», mi spiega Fabio Galluzzo, presidente dell'associazione Marevivo. «Poi l'erosione costiera l'ha assottigliata, e negli ultimi 15 anni le mareggiate si son portate via una fascia di 100 metri di bosco. Senza contare l'accumulo di plastica, e un argine di rifiuti alla foce del fiume Platani. Roba portata dal mare o lasciata dai visitatori. Ma speriamo nell'intervento della Regione, che ha stanziato 4 milioni. Nel frattempo organizziamo giornate, come lo scorso 27 agosto, in cui decine di volontari, soprattutto ragazzi, vanno a ripulire la spiaggia (dove fra l'altro vengono a deporre le uova le rare tartarughe Caretta caretta)».

«È tutto già stabilito dal commissario per il dissesto geologico», mi dice il sindaco di Cattolica Eraclea, Santo Borsellino. «Compresa la messa in sicurezza del costone roccioso, con una spesa di 670 milioni. Speriamo solo che la Regione si muova. Quanto al teatro, dipende dalla Soprintendenza».

Non si può dire che la Regione Autonoma della Sicilia manchi di risorse, considerato anche il potere statutario di autogoverno per la valorizzazione delle risorse ambientali e culturali.

Sentiamola allora, la Regione. Dall'assessorato Territorio e Ambiente ci assicurano che, col parere favorevole della commissione di Valutazione d'impatto ambientale e Valutazione ambientale strategica, dell'11 giugno scorso, i lavori per il consolidamento del costone tra il centro abitato e il promontorio di Capo Bianco (dunque sopra la spiaggia) partiranno a giorni. Poi sarà la volta della sistemazione del litorale, per contrastare l'erosione, e consisterà nella realizzazione di tre «pennelli» (frangiflutti) costituiti da enormi massi. Per il ripascimento del litorale devastato dalle onde verrà utilizzata la sabbia proveniente dal dragaggio del vicino porto di Siculiana Marina. Questi i 4 milioni di cui sopra.

Tornando al teatro, invece, dall'assessorato ai Beni culturali provengono risposte ben più vaghe. Quando verrà sistemato? E chi lo sa. «Il degrado c'è già stato, e manca la salvaguardia», dice Sciarratta. Si confida in qualche bando (e fondo) internazionale, ma solo una volta che saranno stati acquisiti tutti i dati necessari, quindi chissà. La «somma urgenza», segnalata da anni da una sequenza di direttori del Parco, resta tale. In compenso il turista si trova di fronte a indicazioni surreali. Grandi iscrizioni sbiadite con la dicitura «Opera cofinanziata dall'Unione Europea». Cartelli come se ne incontrano un po' ovunque nella regione, per esempio sul lungomare di Sciacca a proposito di certe agghiaccianti panchine coperte, da tutti disertate. «Se ne trovano in vari siti dell'agrigentino», dice ancora il direttore. Peccato che non significhino nulla: «sono tutti uguali e generano solo confusione».

Perciò ai viaggiatori, magari scandinavi o francesi o inglesi impegnati nella loro personale riedizione del Grand Tour, non resta che fissare attoniti quel mostruoso coperchio. Altro che Taormina, con i suoi incessanti afflussi (e introiti).

Magari per consolarsi scenderanno a fare il bagno sulla spiaggia, sperando di trovarla ancora.

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