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"Eravamo bio quarant'anni fa e adesso siamo in 5 milioni"

La sua famiglia ha creato il primo marchio "verde" per i prodotti di largo consumo. Lui gestisce il primo network di informazione sul tema

"Eravamo bio quarant'anni fa e adesso siamo in 5 milioni"

Vent'anni fa su iniziativa di una famiglia lombarda, i Roveda, nasceva LifeGate, il primo network italiano di informazione rivolto a cittadini, aziende ed istituzioni impegnate per un futuro sostenibile. Oggi, tra cambiamenti climatici e pandemie planetarie, la sostenibilità è diventata un tema cruciale. A Enea Roveda, figlio del fondatore Marco ed amministratore delegato di una società benefit che conta su una community di oltre 5 milioni di persone, chiediamo com'è nata questa avventura.

«Nel Duemila parlare di sostenibilità non aveva lo stesso impatto che ha adesso. L'esperienza è iniziata dalla mia famiglia negli anni '80 con Fattoria Scaldasole, la prima azienda italiana a entrare nella grande distribuzione con un prodotto biologico. Lo sguardo pionieristico di allora è lo stesso che ha portato alla nascita di LifeGate con l'obiettivo di promuovere un modello di sviluppo sostenibile. L'attività è iniziata con il network d'informazione lifegate.it e LifeGate Radio, proseguendo attraverso progetti supportati delle tecnologie più avanzate e innovative, ideati per contrastare le principali emergenze ambientali legate alle emissioni di CO2, l'inquinamento da plastica e microplastiche nelle acque e la tutela della biodiversità».

Tra le campagne che state portando avanti c'è un osservatorio sulle grandi città italiane. Che dati state raccogliendo?

«Dal 2015 LifeGate ha realizzato l'Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, ricerca annuale che fornisce una fotografia di come la società italiana applica i temi della sostenibilità alla visione del futuro e alle scelte quotidiane. I numeri sono sempre cresciuti negli anni, fino ad arrivare a questa sesta edizione che vede 36 milioni di italiani allineare le proprie scelte quotidiane ai temi del rispetto sociale e ambientale, con un 72% degli intervistati che lo percepisce come patrimonio comune in grado di influenzare le abitudini quotidiane. Tra questi, coloro che mostrano il maggior interesse sono soprattutto i giovani della Generazione Z (1622 anni) e le donne, con un'età compresa tra i 35-54 anni, diplomate o laureate, professionalmente attive. I dati significati riguardano anche Roma che quest'anno, per la prima volta, abbiamo monitorato e incluso nell'Osservatorio, con un risultato di 2,3 milioni di cittadini coinvolti dal tema della sostenibilità, e Milano con 1 milione, dato del 2019, in attesa della quarta edizione che presenteremo ad ottobre. Siamo certi che i dati post pandemia saranno sicuramente in crescita».

In vent'anni è cambiata la sensibilità dell'opinione pubblica sull'ambiente, stanno maturando anche la politica e l'economia?

«La nuova presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen a gennaio ha istituito il Green New Deal europeo per trasformare il Vecchio continente nel primo blocco di Paesi a impatto climatico zero entro il 2050. Per questa transizione saranno stanziati mille miliardi in dieci anni finanziati da investimenti pubblici e privati che coinvolgeranno principalmente il settore energetico. Il progetto normativo ha lo scopo di favorire una transizione equa e giusta verso un'economia sostenibile e con impatto ambientale zero in tutti i Paesi membri. Centonovantatré Paesi dell'Onu nel 2015 hanno firmato l'agenda 2030 con 17 obiettivi, divisi in tre dimensioni interconnesse, economico, sociale e ambientale, per lo sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030, riconoscendo l'insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo. Queste due azioni confermano un passaggio certo verso una transizione green. Il trend che LifeGate ha registrato in questi anni subirà un'inevitabile accelerazione: andare verso un business più sostenibile e rispettoso dell'ambiente è la condizione necessaria per il pianeta e la crescita dell'economia. In questo contesto il ruolo di LifeGate continuerà nell'indirizzare, consigliare e sostenere le aziende nel loro percorso sostenibile. Il business dovrà necessariamente adeguarsi al modello economico sostenibile».

La pandemia del Covid ha dato uno scossone alle nostre vite ma anche alla società in tutti i suoi aspetti. Il mondo cambierà in meglio?

«I ricercatori parlano di One Health: la salute dell'uomo e quella della natura sono interconnesse e non esiste futuro per il benessere dell'uomo se non all'interno di un pianeta a sua volta sano. L'emergenza, che ci ha obbligato a fermarci come individui e come Paese, ci ha messo di fronte la futilità di ciò che ritenevamo essenziale e ci farà ripartire con una nuova coscienza».

Forse un po' provocatoriamente, si è parlato di fascino del collasso; gli ambientalisti si augurano la rottamazione di intere filiere produttive?

«Non ci possiamo assolutamente augurare un collasso incontrollato di intere filiere dell'economia perché questo genererebbe delle sofferenze umane ed economiche inimmaginabili e un effetto domino sul mercato con conseguenze inaudite. Dobbiamo però essere consapevoli del fatto che il danno economico legato ai cambiamenti climatici sarà enormemente superiore a quello del Coronavirus, quindi inevitabilmente gli investimenti dovranno essere fatti nell'ottica di rendere la nostra società resiliente anche a questo scenario. Per qualcuno la riconversione è più semplice e per altri può essere più complessa, ma sappiamo che non ci sono risorse infinite e le scelte vanno fatte con coraggio per modernizzare i sistemi produttivi in favore di una nuova economia più sostenibile. È indispensabile dunque sostenere le aziende che hanno capito quanto sia necessario un cambiamento di rotta, ossia filiere da aiutare in cambio di una forte accelerazione verso la sostenibilità, ad esempio il settore della moda, dell'automotive, l'edilizia e l'agricoltura, mettendo a disposizione un cuscino di aiuti per una trasformazione verso tecnologie avanzate e meno impattanti. Crediamo da sempre che la sostenibilità sia innovazione e ricerca. Il paradigma del modello economico che dovrà continuare nel futuro deve valorizzare rinnovamento e sostenibilità, parole chiave per la crescita delle imprese e di una nuova economia più moderna».

Anche il problema occupazionale è un problema ecologico. Come si risolve?

«Le professioni legate alla sostenibilità gettano una luce positiva sul panorama lavorativo italiano in difficoltà. Parlo dei cosiddetti Green jobs, i lavori verdi. Il mondo accademico e universitario offre delle opportunità, ma deve recuperare terreno nell'elaborare piani formativi trasversali sui temi dell'economia circolare. Al contrario, la domanda da parte delle aziende, degli imprenditori verso questo tipo di figure specializzate è in costante aumento. Per un giovane che si affaccia al mondo del lavoro, saper cogliere questa sfida significa avere la possibilità di scegliere in un mondo di offerta professionale aperto al cambiamento. Acquisti, logistica, marketing, comunicazione. Non c'è un'azienda che non abbia bisogno di sostegno e di professionisti, così come non c'è una divisione interna a un'impresa che sia esente dal cambiamento».

Con la crisi economica molti giovani stanno tornando alla terra. Un fenomeno che guardate positivamente?

«Negli scorsi decenni le campagne sono state abbandonate. Oggi la tendenza dei giovani a riappropriarsi della terra è sicuramente positiva e sarà in crescita nei prossimi anni. Il mese scorso, in collaborazione con Biorfarm, abbiamo lanciato il progetto Save the Farm che consente di adottare alberi da frutto, seguirne la crescita e destinare la frutta ai dipendenti e ai clienti. Grazie al sistema delle adozioni, gli agricoltori ottengono un giusto compenso in tempi brevi per il proprio prezioso lavoro: un sostegno a proseguire la propria attività e a contrastare lo spopolamento delle campagne. L'iniziativa si rivolge alle imprese che vogliono impegnarsi attivamente nel settore della sostenibilità, valorizzando il proprio territorio e le comunità che lo abitano, per sostenere le piccole produzioni biologiche Made in Italy che i giovani stanno portando avanti con slancio e innovazione».

Quali sono i progetti e le campagne su cui oggi LifeGate sta puntando?

«Per contrastare l'inquinamento e il cambiamento climatico, dal 2000 LifeGate ha lavorato per diffondere il modello di sviluppo sostenibile e il consumo consapevole, avvalendosi delle tecnologie più avanzate e innovative. Era il 2002 quando LifeGate concretizzò volontariamente il Protocollo di Kyoto attraverso il progetto ambientale Impatto Zero. Negli anni è stato possibile calcolare le emissioni di 400 milioni di prodotti, ridurle quando possibile e compensare le residue attraverso l'acquisto di crediti di carbonio (carbon credit) generati grazie a programmi di riforestazione, con 80 milioni di metri quadri di foresta tutelata, grazie anche al progetto Foreste in Piedi. Con lo stesso obiettivo, contro il global warming, nel 2005 è nata LifeGate Energy, energia pulita, 100% rinnovabile, italiana e a Impatto Zero. A sostegno delle biodiversità sono state protette 5 milioni di api con Bee my Future. Negli ultimi anni la presenza della plastica nei mari ha raggiunto il livello di emergenza, affrontato proponendo LifeGate PlasticLess che ha consentito, in soli due anni, di raccogliere 25mila chilogrammi di rifiuti plastici in Italia e in Europa. Per un futuro che sarà sempre più digitalizzato, è stato lanciato il Sustainability Custom Studio per fornire contenuti esclusivi agli utenti attraverso una media house dedicata ai temi della sostenibilità».

Tra i vostri partner ci sono circa 5mila aziende. Chi sono e quali progetti sostenete?

«In Italia le prime aziende che si sono affacciate al modello di sviluppo sostenibile sono state le multinazionali che ricevevano le linee guida dalle case madri. Poi si sono fatti strada imprenditori illuminati di piccole e medie imprese che hanno capito come la sostenibilità sia il futuro dell'economia. Ciò che offriamo sono strumenti e supporto concreto per intraprendere un modello che rispecchi quello che noi sintetizziamo in tre pilastri per la crescita: people planet, profit. Questo porta a migliorare le proprie performance sociali e ambientali, a ridurre i costi, incrementare i ricavi, differenziarsi dai competitor, preservare una buona reputazione nel lungo periodo».

Oggi la parola sostenibilità è ormai usata da quasi tutte le aziende nella promozione dei propri prodotti. Qualcuno ne abusa?

«Quello che prima era un paradigma di sostenibilità compreso esclusivamente da aziende illuminate, oggi sta raggiungendo un bacino sempre più ampio, nei processi produttivi, negli stili di vita, nella coscienza globale. Non possiamo che esserne felici».

Milano sta davvero portando avanti una politica per l'ambiente come sostiene sempre più spesso il sindaco Sala?

«Milano è a tutti gli effetti una città internazionale che fa parte del C40, una rete di 80 grandi città del mondo impegnate nella lotta ai cambiamenti climatici. Il sindaco Sala, nel corso della pandemia, è stato nominato capo della Global Mayors COVID-19 Recovery Task Force di C40 che nei giorni scorsi ha presentato una dichiarazione di principi per guidare la ripresa dopo il Covid19 con l'intento di costruire una società migliore più sostenibile. La direzione è quella giusta».

Se doveste dare un decalogo al singolo cittadino per contribuire attivamente all'ecosostenibilità, cosa mettereste ai primi posti?

«È necessario prediligere la qualità rispetto alla quantità. Dobbiamo essere quanto più possibile acquirenti più attenti e consapevoli che la nostra azione di acquisto ha inevitabilmente un impatto sociale e ambientale. Senza dimenticare quanti rifiuti potremmo evitare di produrre, acquistando il necessario e non sprecando. Nei Paesi industrializzati si parla del 38% di cibo buttato. Per essere sicuri delle proprie scelte in qualsiasi settore, è bene scegliere prodotti e servizi provenienti da aziende che mettono al centro la qualità, il benessere delle persone, dei propri dipendenti e la salute dell'ambiente, identificando la tracciabilità, la trasparenza, la catena del valore, i rischi ambientali e sociali delle produzioni.

Diventare consumatori attivi che leggono con attenzione le etichette per dare priorità alle idee e materiali più innovativi e sostenibili».

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