Ernst Jünger e la realtà senza utopie

Ernst Jünger, filosofo, romanziere, politologo, capitano dell’esercito del Terzo Reich, ha avuto l’invidiabile fortuna di vivere fino a 104 anni, sano di corpo e di mente. Ha attraversato il Novecento: ne è uno dei più acuti interpreti e testimoni, attraverso le sue riflessioni e azioni si comprendono molte cose del secolo appena trascorso.
Per esempio, il motivo per cui intelligenti e raffinati intellettuali avevano aderito al Nazismo. E infatti, dopo una trentina d’anni, durante i quali Ernst Jünger era conosciuto da pochi, e in Italia disinvoltamente confuso con lo psicanalista Jung, molto più celebre di lui, sono fioriti studi di ogni tipo. Insomma, la lunga vita di Jünger gli è anche servita per assistere, nel dopoguerra, prima alla propria demonizzazione di ignobile nazista, poi a una ipocrita dimenticanza, quindi a un oculato sdoganamento pieno di distinguo, infine alla sua celebrazione. Tanti libri su di lui, tanti onori per lui. La cosa curiosa è che Jünger è sempre rimasto fedele a se stesso: non ha fatto abiure, non ha fatto rettifiche al suo pensiero, se non quelle ovvie e conseguenti allo sviluppo della propria ricerca. E allora? Qual è il miracolo che gli ha permesso di ritrovare il suo posto tra gli umani?
La prima considerazione riguarda il fatto che la cultura che lo ha condannato era tanto cieca nella propria ideologia che, alla fine, lei sì, è stata miracolata e ha cominciato a vedere un po’ meglio. Ma poi, e questo è l’aspetto interessante che riguarda Jünger, ci si è accorti, leggendo i suoi libri con un po’ di rispetto per l’autore, che egli era un vero testimone, un filosofo e un romanziere che ha saputo guardare la realtà, descriverla senza alcuna pretesa di cambiarla.
Un ottimo libro di un giovane studioso, Maurizio Guerri, Ernst Jünger. Terrore e libertà (Edizioni X Book, pagg. 270, euro 18) illustra la formazione che ha consentito al filosofo tedesco di costruire una teoria della visione della realtà. Jünger, fin da giovane (quindi parliamo dei primi decenni del secolo scorso), si interessa al modo in cui la fotografia, il cinema, il linguaggio narrativo possono rappresentare il mondo reale.
Dunque, come vedere le cose, perché quando si sa come guardare, ogni interpretazione è conseguente, superflua. E infatti le riflessioni di Jünger, soprattutto quelle politiche, non sono mai attraversate da utopie, dal sogno di come dovrebbero essere le cose e invece non sono.

Il mondo è questo, ci dice Jünger, adesso il nostro problema è come viverci bene, trovando il proprio spazio di libertà. E, stando ai fatti, campando 104 anni Jünger ha dato una lezione inconfutabile sulla validità del proprio modo di vedere il mondo.

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