«Ero uno sbandato, Dante mi ha rimesso in riga»

Se occorre fare di necessità virtù, Vincenzo Mazzitelli è - per amore e per forza - il più geniale dei virtuosi. È «Enzo» per gli amici e per i nemici. Conquistati via via gli uni con gli allori d’artista di strada raccolti sulle piazze di Napoli e sulle rotte mondiali della Marina Mercantile. Riportati gli altri con i molti onori di poeta ladro, vagabondo, attaccabrighe: provocatore con versacci e versi.
È «Mazzitelli rimatore» per i clienti, gli utenti delle sue arti, i ferventi ammiratori. Quelli disposti a pagare sull’unghia, in contanti, a sborsare monete sonanti per portarsi a casa una canzone composta lì per lì apposta per loro. Una filastrocca, un gioco di parole: inventato su commissione per esprimere un augurio o recapitare un insulto, per formulare una dichiarazione d’amore o uno slogan per la squadra del cuore, per cantarle belle a qualcuno o dirgliene quattro per le rime.
C’è gente che paga per farsi fare una poesia? C’è gente che campa smerciando le proprie poesie? Ne è la prova vivente questo quarantacinquenne napoletano. Che, lo ammette lui stesso - lo dichiara anzi e declama in rime e ritmi - per sbarcare il lunario le ha tentate e le tenta proprio tutte. Ma alla fine la sua storia di avventuriero alla ventura gli è valsa una fortuna. Ne avrete una sonora riprova spendendo la misera cifra di 9 euro per acquistare la sua esilarante biografia in versi. Ne darete anzi un’inconfutabile dimostrazione versando l’obolo per comprare il suo poemetto appena uscito da Meridiano Zero con il titolo L’acrostico più lungo del mondo. Storia di un satiro religioso.
Avrete speso bene i vostri soldi. Perché, guardatelo bene in tutti i versi: per diritto, alla rovescia, soprattutto di profilo. C’è dentro un filone prezioso. Letti in verticale i capoversi dei suoi endecasillabi burleschi formano il primo canto della Divina Commedia. Burla o meraviglia, talento versatile o estro furbo d’improvvisazione partenopea, barbatrucco o trucco barbino: come che la si voglia vedere, scegliersi l’Alighieri quale «duca segnore e maestro» dà qualche garanzia di mettersi sulla buona strada.
Prima di scendere con Dante giù all’Inferno, Mazzitelli di strade ne ha battute molte altre. È stato predicatore di piazza, filosofo da baraccone, venditore di enciclopedie, redattore, giornalista. Macchinista? «Sì! - ammette -, su un glorioso cargo battente bandiera panamense. Mi imbarcai che avevo vent’anni. Feci il giro del mondo e fui ributtato a riva ai piedi del Vesuvio, dopo una lite con il direttore della sala macchine». Batterista in una band? «Già, ma adesso la batteria la suono solo come il clarinetto Dylan Dog: per pensare. Invece con i ragazzi del gruppo ho lavorato ancora qualche settimana fa, da fabbro e magazziniere».
Prima di misurarsi sul calco della terzina dantesca, aveva tarato metri, lunghezze e prezzi delle sue composizioni su differenti valute e unità. «Una volta mi pagavano in lire», racconta lo «Zingaro vecchio dall’ardita prosa» con qualche nostalgia dei vecchi tempi. «Duemila lire a verso era la mia tariffa quando lavoravo in piazza. Mi piaceva! L’agorà è da mo’ una strepitosa fonte di ispirazione. La gente arrivava attratta dalle bancarelle. E io stimolato dalle loro richieste componevo in un minuto le mie invenzioni. Sempre acrostici: un genere antico come il mondo. O antico almeno come la Grecia antica in cui significava “capoverso”. Me ne hanno fatti inventare sui capoversi formati da tutti i nomi. Dedicati a persone amate o odiate. Commissionati da fidanzati cornuti e così vendicati. Ho messo in rima partecipazioni matrimoniali, intimidazioni legali, buoncompleanni, perfino un vaffanculo».
E alla fine? Il divino poeta l’ha tolto dalla strada? «Sì e no. Cioè: furono i guai di salute a darmi una regolata. Soffro d’asma. Ma proprio la volta che toccai il fondo, quando entrai in coma farmacologico dopo una crisi respiratoria, mi apparve in persona il poeta della Comedìa. Era mastodontico, come la statua che c’è qui a Napoli in piazza Dante. Era superbo, fiero come il leone che lo accompagna, e veniva per dissuadermi dalla perdizione. Dovevo seguirlo». Pedissequo certo no, ma agile a calcarne i passi Mazzitelli è di sicuro. Non ha ripercorso in rime che il primo canto dell’Inferno, e mentre già si appresta a prolungare l’acrostico più lungo del mondo sulle tracce di Purgatorio e Paradiso, già i dantisti, i trecentisti e gli italianisti ragionano sul suo genio prodigioso.


Lo faranno pubblicamente il prossimo 18 dicembre all’Istituto Orientale di Napoli (via Chitamone 62, ore 15): allorché il professor Vittorio Marmo, il critico Marco Lombardi e il filologo Claudio Franchi faranno corona seduti sulla cattedra al redento poeta da strada.

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