Gli EROI di casa nostra

Giovanni Pietro Durante ha vissuto due guerre Ora è sepolto nella sua Prà

Gli  EROI di casa nostra

Quando saltò fuori da una vecchia intercapedine di legno di casa mia, mai avrei sospettato di trovarmi così coinvolto in una ricerca storica così appassionante. Era il 1991. Trovai un quadretto, evidentemente scivolato dietro e poi dimenticato dai precedenti abitanti. Al centro di una modesta cornice, in fotografia, ad osservarmi austero era un tipo in uniforme. A occhio mi sembrò un alto ufficiale della Marina ma voltando l’immagine non ebbi più dubbi. A presentarmelo un trafiletto de «Il Secolo XIX» dell’11 settembre 1959 incollato sul dorso del quadro.
«È morto a Salerno l'ammiraglio Genovese Giovanni Pietro Durante. Salerno 11 settembre (1959): L'ammiraglio Giovanni Pietro Durante, nato a Genova Prà, è deceduto sulla costiera amalfitana vicino a Lesen (?). Egli fu uno degli ultimi navigatori a vela, essendo il padre proprietario e costruttore di velieri in legno ed il primo costruttore di piroscafi in ferro nei cantieri di Genova Prà. Fu anche un pioniere della navigazione coi dirigibili, partecipò all'operazione dei Dardanelli con l'amm. Millo e comandò la base navale di Brindisi nel 1940. È stato anche Presidente della Commissione Imbarchi e Sbarchi e Presidente del Tribunale militare della Spezia durante l'ultima guerra. Più volte decorato al valor militare era anche insignito delle più alte onorificenze. Aveva ottantasei anni».
Mi sembrò da subito un dovere quello di approfondire la storia di un illustre compaesano che mi si era presentato in maniera così insolita. Cominciai a documentarmi in loco, chiedendo alle persone anziane, rintracciando i discendenti, scavando sui libri, visitando il cimitero di Palmaro. Ed ecco in estrema sintesi ciò che ho scoperto.
Partiamo dal padre: Luigi Bartolomeo Durante (1840-1897), come detto, fu un apprezzatissimo ingegnere e costruttore navale. A lui è titolata una via di Prà. Dagli scali dei suoi cantieri di Prà e Varazze furono varati oltre 45 velieri. Tra i più famosi scafi il brigantino a palo G.B. Repetto, varato nel 1883 ed il Rocco Schiaffino, di 1300 tonnellate, camogliese, imponente e velocissimo e, secondo il diario del nostromo camogliese Agostino Lavarello, anche il celeberrimo brigantino a palo Italia arenatosi, dopo un incendio a bordo, a Tristan da Cunha nel 1892. A proseguire l'attività cantieristica fino al 1956, fu uno dei figli, il cav. Prospero. L'altro figlio, Giovanni Pietro, che aveva invece un carattere molto più esuberante ed avventuroso, come molti suoi coetanei si imbarcò, neppure immaginando la fulgida carriera a cui era avviato e i fatti storici di cui sarebbe stato testimone e protagonista. Entrò in servizio nella Marina nel 1898, promosso guardamarina dopo soli sei mesi. Sottotenente di vascello nel 1900. Nel 1901 partecipò alla memorabile I Campagna radiotelegrafica della Carlo Alberto con Guglielmo Marconi. In un suo scritto alla figlia Franca, Durante, ricorderà con orgoglio: «Ad alzare il radiatore vi erano il marchese Solari al trinchetto, il sott. di vascello Durante alla maestra, a maneggiare i 52 fili perchè non si imbrogliassero Marconi». E aggiunse «Un mattino luminoso alle ore a 4, a Pietroburgo, Marconi e l'amm. Mirabello uscendo sorridenti dalla cabina ci comunicavano che avevano ricevuto l' S, S, S, S... lanciato da Poldhu». Nel 1906 fu promosso Tenente di Vascello. Certamente la paura non era nelle corde del Durante che, dopo la straordinaria esperienza sul Regio Incrociatore Corazzato Carlo Alberto, passò nientemeno che ai dirigibili. Il primo dirigibile italiano, realizzato da due ufficiali del genio: Crocco e Ricaldoni, battezzato naturalmente N.1, si alzò in volo da Vigna di Valle, esattamente un secolo fa: il 31 ottobre 1908. Dopo aver sorvolato il cielo di Roma, dopo ottanta interminabili ed emozionanti chilometri, il N. 1 tornerà alla base con la trave di chiglia rotta in un punto. Dal problema tecnico il genio napoletano di Gaetano Arturo Crocco ne trarrà un insegnamento passato alla storia: «Rompere la trave di chiglia prima che si rompa...». Ne nascerà il primo dirigibile semirigido, il 1 Bis, con trave di chiglia snodata.
Durante fu tra i primi piloti in Italia di navigazione aerea, insieme a Ponzio e Castracane. In particolare operò dalla seconda stazione italiana dopo quella di Vigna di Valle, creata a Campalto (Mestre). Benchè l'anno di nascita dell'Aeronautica Militare Italiana può farsi risalire al 1910, i Dirigibili furono impiegati soprattutto in appoggio alla Marina. Oltre a missioni di ricognizione e bombardamento svolsero un ruolo del tutto nuovo in campo navale: l'individuazione dall'alto di mine subacquee e l'eliminazione di campi minati con lancio di bombe: una sorta di dragaggio aereo. Agli ordini dell'ammiraglio Millo partecipò attivamente all'epica operazione dei Dardanelli, durante la Guerra Italo-Turca, ricevendone encomi ed una medaglia commemorativa. Ma in seguito il suo carattere, tutt'altro che condiscendente, e il suo spirito polemico gli complicarono non poco la carriera.
Nel frattempo tuttavia a Mestre aveva conosciuto l'amore. Una fanciulla affascinante, figlia di un generale, pittrice: Zoila Capitanio più giovane di sedici anni. Nascono i figli Giovanni, detto Giannetto, (sarà pilota, medaglia d'argento al valor militare dopo operazioni di guerra nei cieli del Mediterraneo Orientale e in seguito comandante dell'aeroporto militare di Firenze, è morto nel 1994), Gianluigi, (generale carrista scomparso nel 2002), Dino, (tenente di artiglieria morto nel 1948, dopo essere stato in un campo di prigionia in Polonia) e la figlia Franca, la sua prediletta «Cicci». Zoila, oltre che artista, diventerà un'ottima cuoca per l'esigente marito, mescolando nel tempo la cucina genovese, veneziana ed in seguito napoletana. Sarà in grado di preparare un ottimo pesto, come si confà alla moglie di un praese, melanzane ripiene e persino cima. Nel 1926 viene promosso Capitano di Vascello.
Negli anni '30 è in Libia insieme alla figlia. È un po' infastidito dai giovani piloti che le ronzano intorno, belli, spacconi ma, nell'euforico clima coloniale fascista, è inevitabile l'ostentazione della virilità. Nel 1933 è protagonista di un incidente in auto, cappotta nel deserto, ne rimane illeso ma estremamente imbarazzato, era evidente che se la cavava meglio in mare che sulle dune. Il paesaggio dell'Africa coloniale italiana viene da lui immortalato in splendidi disegni a china e dipinti: scorci di Tripoli e Zuara, moschee, villaggi. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si trova Comandante della Base navale di Brindisi ma poi viene trasferito a Taranto. Alcuni suoi ricordi di guerra compaiono come pepate note a margine, su una copia che conservo, del noto volume di Antonino Trizzino «Navi e poltrone». Commenti feroci, amari, atti di accusa firmati con il nome di «Pinco Pallino».
A proposito dell'affondamento del Neptunia e dell'Oceania scrive: «Uno dei miei numerosi pianti... prima dell'affondamento. Le avevo caricate nella notte pronte a partire alle 4 prima di chiaro. Non ho mai saputo perché le fecero partire di sera quando tutta la città le aveva viste in porto caricare truppe».
A proposito del successo degli aerosiluranti inglesi annota: «Io, nel 1931, essendo di stanza a Malta per l'organizzazione delle linee aeree civili, riferii al Ministro della Marina che tutti i giorni e tutte le notti, idrovolanti inglesi si esercitavano a lanciare siluri dagli aerei ... al largo circa 2 mg., in modo da far attraversare ai siluri il tratto di mare compreso fra due gavitelli ancorati e distanti fra loro una cinquantina di metri. Vannutelli aveva cominciato uguale esercizio a Messina molto prima degli inglesi; ma ne fu poi esentato!».
Nel 1942 le sue critiche alla condotta di guerra gli valgono una «promozione»: «Nel Gennaio del '42 io ero già stato, malgrado la mia protesta, levato da Taranto dall'ammiraglio Somigli che mi offriva in cambio, un posto di mia scelta e più ...riposante!».
Oggetto dei suoi strali, Sansonetti, Brivonesi, Badoglio, con cui aveva giocato spesso a bocce, e Mussolini. Salva l'onore dell'ammiraglio Inigo Campioni fucilato dai tedeschi per tradimento nel 1944: «Campioni davanti al plotone di esecuzione per ordine dei tedeschi parlò, agli uomini che lo dovevano fucilare, in modo così fiero che non è permesso dir niente che possa nuocere al suo grandissimo coraggio», dell'ammiraglio Antonino Toscano colato a picco col Da Barbiano: «Ma Toscano aveva fatto cento volte presente che era una stupidità adoperare un incrociatore, stracarico di armi, per trasportare pochi barili di benzina sopra coperta che, fra l'altro, impediscono in parte l'uso di tutte le armi (e basta un colpo di fucile per produrre un incendio difficile a spegnersi», dell'ammiraglio Bergamini, tutte vittime della stupidità dell'alto comando di Roma. Annota Durante: «Noi entrammo stupidamente in guerra col preciso scopo di perderla. E fortunatamente per la democrazia la facemmo perdere anche alla Germania che aveva stavolta noi come peso al piede, mentre nell'altra guerra il “merito” lo ebbe l'Austria. Io, ogni volta che alla sera tardi (il più delle volte la mattina) rientravo in casa ripetevo sempre la stessa frase: “Non arrivo a comprendere! Sembra proprio che noi facciamo di tutto per perdere la guerra!”. Io, nella mia ingenuità non riuscivo ad ammettere una enorme... enormità; perdere una guerra nazionale per odio a una persona! Quando, finita la guerra, venni a sapere la verità mi sono spiegato perché fui allontanato, dopo meno di un anno, dal Comando di Brindisi, poi dalla Presidenza della “Commisallos” a Taranto e relegato alla Pres. del Tribunale della Spezia sfollato a Marina di Pietrasanta! Da lì (1943) non avrei più (io ignaro di tutto il tradimento) tentato di far la guerra sul serio!».
Nella sua integrità non concepisce il tradimento. Ha dato alla patria figli che stanno combattendo su tutti i fronti, non si capacita di quello che succede dopo l'8 settembre. Anche la figlia ha sposato intanto un ufficiale di marina, sommergibilista, Enrico Lesen d'Aston, che si distingue nel Mar Nero con i sommergibili tascabili C.B., decorato con una medaglia d'argento. Marchese di un antico casato fiammingo, questi entra a far parte della X Mas, ma, come succedeva nell'Italia di allora, a salvare dopo la Guerra dall'esecuzione sommaria molti esponenti della famiglia Durante, fu l'intervento della sorella, Federica Lesen D'Aston, la mitica zia Fede, ovviamente personaggio di spicco della resistenza partigiana... Dal nome Lesen probabile l'equivoco del Decimonono. In realtà, dopo la Guerra, Gio Pietro Durante, che si sente un sopravvissuto, si ritira a Raito, vicino a Vietri sul Mare, all'inizio della Costiera Amalfitana. Una villetta bianca in un posto splendido, per riposare e riflettere. E Durante riflette e diventa sempre più caustico, polemico, indomito. Prepara e scrive decine di lettere ai giornali per dire la sua sugli argomenti inerenti la guerra e la politica ma alcune di esse vengono occultate dalla moglie, che se ne vergognava un po', altre vengono cestinate dalle redazioni. Durante è un personaggio a Vietri, discute con i pescatori mentre attentamente seleziona il pesce fresco, dice la sua su tutto Vengono persino tollerati i suoi interventi nel corso della Santa Messa, quando si trova talvolta a battibeccare bonariamente con il sacerdote! Non sa più che farsene delle sue medaglie e delle sue decorazioni di Guerra, Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia e delle varie Croci di Guerra alcune delle quali d'Oro. Pensa piuttosto all'ultima croce, quella della sua tomba, al suo testamento spirituale e lo fa da spirito libero e un po' ribelle, lasciando un messaggio pacifista che sembra la contraddizione di tutta la sua vita. Ma l'anziano ammiraglio Giovanni Pietro Durante, inviso alle gerarchie e fuori dai giochi, può permetterselo. Ha perso troppi amici, commilitoni, parenti. Le sue ultime volontà vengono rispettate. Viene sepolto nella sua Prà.

Sulla tomba compaiono frasi pensate e ripensate con orgoglio e saggezza, con dolore e sincerità:
«Presi parte a tutte le guerre della prima parte del secolo XX, tutte ugualmente disastrose, tutte ugualmente inutili». E aggiunge una frase di San Paolo: «O Giovane nella grazia del Signore, per meritare onore, vivere bisogna, non morire».

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