Massa Lombarda - Vasco Errani, governatore democratico dell’Emilia Romagna, ha un fratello segreto. Un congiunto che conobbe da ragazzo e poi non ha più visto né voluto vedere, di cui non ha mai parlato in pubblico, quasi fosse una vergogna o un peso. Non ha mai stretto la mano a sua moglie, non ha abbracciato i suoi figli e i suoi nipotini. Non si è mai interessato se fosse in buona salute, quale lavoro facesse, se avesse bisogno di soldi. Ha ignorato il suo dramma, la vita dolorosa di un ragazzo ripudiato da due padri, marchiato alla nascita come «figlio di N. N.», vissuto in un orfanotrofio fino ai 19 anni, accolto freddamente in casa Errani e da lì cacciato ancora una volta.
Il fratello negato si chiama Luciano Arlati e vive a Imola. Quest’uomo alla ricerca di se stesso e di chi gli diede la vita, ancora oggi, alla soglia dei 65 anni, nella Massa Lombarda che è patria sua come dell’intera dinastia Errani (il sindaco è la nipote di Vasco, Linda, figlia dell’altro fratello Giovanni), per la strada e alla bocciofila viene apostrofato con quattro cognomi diversi: quello di Errani, quello della mamma, quello del marito della madre (che lo disconobbe), e quello affibbiatogli dal tribunale di Ravenna quando aveva pochi mesi. Dal febbraio scorso una sentenza del medesimo tribunale riconosce in via definitiva la paternità naturale di Ezio Errani, morto nel 2000.
Pare che Vasco e Giovanni pretendano dal fratello la firma sotto una liberatoria in cui egli rinuncia a ogni diritto patrimoniale. Sembra dicano: ok, sei stato riconosciuto, puoi fregiarti del nostro riverito nome, adesso torna da dove sei venuto. Il governatore Vasco Errani è prodigo di elargizioni regionali verso la cooperativa Terremerse di cui il fratello Giovanni era presidente. Il politico Vasco Errani è aperto a tutto il «nuovo» in tema di diritti civili: la legge finanziaria dell’Emilia Romagna equipara sposi e coppie di fatto nelle graduatorie per l’assistenza agli anziani, nell’accesso ai servizi sociali, alla sanità, al prestito d’onore. L’uomo Vasco Errani è un totem insensibile ai traumi subiti dal fratello Luciano.
È una storia della guerra, quella di Arlati. Venne al mondo che il conflitto era appena finito. Sua madre, Maria Gianstefani, rimase incinta che aveva due figli adolescenti e un marito sul fronte africano. Suo padre, Ezio Errani, era un trentenne senza legami che approfittò della promiscuità e dello smarrimento in cui si tirava a campare nelle campagne della Bassa ravennate dove erano sfollati. Quando nacque, il 12 giugno 1945, Luciano non trovò nessun papà ad accoglierlo. Errani, che pure aveva vissuto qualche mese assieme alla compagna incinta, non volle saperne. Il marito tradito, il reduce Dino Lusa, lo disconobbe e qualche mese dopo abbandonò il tetto coniugale. La legge di allora impediva alla madre di riconoscere la prole nata fuori dal matrimonio. Così al «figlio della colpa» fu tolto il cognome di famiglia e gliene fu appioppato uno di fantasia. Per due anni si era chiamato Lusa, ora diventava Arlati.
La mamma lo tenne con sé. Vivevano in una casa di fortuna a Massa Lombarda assieme alla famiglia della sorella Dea, che era già sposata. A sette anni Luciano fu spedito in un collegio per orfani a Imola. Vi rimase 12 anni sempre con gli stessi vestiti, la stessa mantellina nera, lo stesso marchio di infamia: un «esposto», un figlio di N. N. Mai che Ezio Errani si sia fatto avanti, mai nulla che potesse alimentare nel piccolo Arlati il sentore di avere un padre e due fratelli vivi a pochi chilometri da lui. Solo la mamma Maria lo andava a trovare ogni domenica in bicicletta e se lo portava a casa qualche breve periodo in estate.
Luciano lasciò il collegio nel giugno 1964. In ottobre la madre morì. Lui, che nel frattempo aveva trovato lavoro nella Distilleria Mazzari, partì per il militare e al termine andò ad abitare dalla sorella. Fu lei un giorno del 1966 a presentargli una persona che gli voleva parlare.
Era Ezio Errani, cinquantenne, sposato, due figli: Giovanni, classe 1946, e Vasco, nato nel 1955. Guidava una grossa cooperativa agricola del Ravennate, la Cor di Mezzano presso Alfonsine. Era un pezzo grosso del partito comunista, presidente della commissione morale della sezione di Massa Lombarda.
Luciano fu accolto con freddezza in quella rigida famiglia patriarcale. Per Luciano fu uno choc doppio: incontrare improvvisamente suo padre e scoprire che la sua nuova casa gli era ostile. Di colpo venne a sapere che la sorella era al corrente di tutto ma l’aveva tenuto sempre all’oscuro. E che a Massa Lombarda molti chiacchieravano ma nessuno aveva mosso un dito per aiutarlo. Quella porta aperta poteva essere l’inizio di una nuova vita. Ma Luciano Arlati non ricevette mai il calore di quella famiglia, nessun gesto dettato dal cuore, un atto di affetto, un tentativo di farsi carico del suo accidentato percorso di vita. Arlati versava al padre tutto lo stipendio di operaio e ne riceveva quattro soldi che Errani annotava con scrupolo su un foglio.
Quella gelida convivenza, piena di tensioni e incomprensioni, durò due anni. Nel 1967 Ezio Errani fece capire a Luciano che era meglio se sgombrava. Giovanni lo trattava con distacco, Vasco aveva 12 anni ed era più indifferente. Arlati fu cacciato senza soldi, senza casa, solo con la sua valigia. Si sposò e non ebbe più contatti con il padre e i fratelli. In cuor suo nutriva la speranza di poter essere riconosciuto, ma i rapporti si ruppero. Dagli Errani non partì nessun segnale di riavvicinamento, nemmeno una telefonata dopo il 30 dicembre 2000 quando il patriarca Ezio morì senza aver rivisto il figlio abbandonato né aver voluto conoscere nipoti e pronipoti.
È nel 2006, sei anni dopo la scomparsa del genitore, che Luciano Arlati si decide a intraprendere la via delle aule di giustizia per vedere sancita quella paternità negata. Vasco e Giovanni Errani e la vedova Teresina Geminiani non hanno ostacolato il riconoscimento dello stato di figlio naturale, ma si sono opposti alle sue richieste di contenuto economico che non riguardavano una fetta del testamento ma il fatto che il padre si sia sistematicamente disinteressato al mantenimento di Arlati minorenne. Il tribunale di Ravenna (città dove vive Vasco) ha accolto le indicazioni della famiglia Errani: sì alla richiesta di paternità, no a quella economica.
Arlati non ha presentato appello: non erano i soldi che gli interessavano. Non ne ha mai ricevuti e non ne ha bisogno neppure ora: ha lavorato 40 anni come operaio, ha sempre pagato l’affitto, i due figli sono grandi e laureati, la pensione basta per lui e la moglie Beatrice, i due nipotini sono la luce dei loro occhi.
La sentenza è diventata definitiva poche settimane fa e l’11 febbraio 2010 la cancelleria del tribunale
l’ha spedita all’ufficiale di stato civile del comune di Massa Lombarda, dove è registrato l’atto di nascita di Luciano Arlati. E dove il sindaco Linda Errani firmerà l’annotazione anagrafica che riguarda il suo nuovo zio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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