«È un errore da principiante: misura colma, la porta è quella»

BOATOS Il Cavaliere tentato dal chiedere le dimissioni del presidente della Camera

RomaQuando arriva la notizia del video di Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi è ancora nella prefettura di Milano per l’incontro con il neo presidente dell’Ue Herman Van Rompuy. Il sunto che gli fanno i suoi collaboratori è breve ma esplicativo e il Cavaliere non fa altro che ascoltare impassibile. Non una parola, almeno finché non rientra in macchina con destinazione Arcore. Nelle molte telefonate private del pomeriggio, invece, saranno svariate le considerazioni che affiderà ai suoi interlocutori. Una delle quali tanto ironica quanto impietosa: uno che parla così davanti a un microfono «è un principiante».
Insomma, spiega il premier ai suoi, quello del presidente della Camera è un vero e proprio «autogol». Perché se per un verso il Cavaliere non può che dirsi «sbigottito» di fronte alle parole di Fini, dall’altro vede confermate in maniera inequivocabile le perplessità e i dubbi che aveva più volte sollevato negli ultimi mesi rispetto all’ex leader di An. Nel merito delle parole di Fini ma non solo. Perché quello che non va giù a Berlusconi è anche il fatto che lo scambio di battute sulle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza avvenga tra il presidente della Camera e il procuratore capo di Pescara Nicola Trifuoggi, un magistrato con il quale pare che Fini non abbia neanche una particolare confidenza. Insomma, mentre governo e maggioranza sono impegnati a cercare di «disinnescare» le Procure di Milano, Firenze, Caltanissetta e Palermo che stanno indagando su Berlusconi come mandante delle stragi di mafia del ’92 e ’93, Fini non solo non mostra di dubitare dell’ipotesi accusatoria ma arriva addirittura a dargli credito discutendone e ironizzando con un magistrato. Il tutto in un crescendo nel quale si paragona Berlusconi prima a un «monarca assoluto» (copyright Fini) e poi a un «imperatore romano» (copyright Trifuoggi).
Ed è soprattutto su questo che batte il Cavaliere nei suoi tanti contatti telefonici della giornata, compresi quelli durante una riunione del Pdl convocata in tutta fretta a via dell’Umiltà a cui partecipano i coordinatori Ignazio La Russa e Denis Verdini e i capigruppo Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri. Perché - è il senso del ragionamento del premier - è difficile non pensare al complotto se quattro giorni prima dell’atteso faccia a faccia tra i due (Berlusconi e Fini si vedono a Montecitorio il 10 novembre mentre il fuori onda è del 6) l’ex leader di An andava in giro ad «accreditare con i magistrati» la versione di Spatuzza. Non è un caso che il vicecapogruppo del Pdl alla Camera Osvaldo Napoli ipotizzi «l’apostolato a favore di complotto».
In casa Pdl, insomma, il clima è decisamente teso. Al punto che pure i timidi tentativi dei pontieri vengono stoppati sul nascere dal Cavaliere: «Davvero devo pensare che Fini non si è accorto che il governo è vittima di un’offensiva senza precedenti?». Sul punto Berlusconi è inamovibile. Perché, ripete, «la misura è piena». E lo è ancora di più dopo che Fini «si è sentito in dovere di fare chiarezza con Nicola Mancino» (anche lui citato nel fuori onda) mentre «ha taciuto su tutto il resto». Per il Cavaliere, insomma, la palla ora è all’ex leader di An. «Tocca a lui un chiarimento pubblico - ripete ai suoi - altrimenti non si va avanti». Parole che in qualche modo confermano la tentazione del premier di arrivare a ipotizzare le dimissioni di Fini dalla presidenza della Camera. Di certo, Berlusconi è deciso ad andare in fondo. Perché agli atti c’è il documento approvato all’unanimità dall’ufficio di presidenza del Pdl nel quale si punta il dito contro «l’utilizzo dei cosiddetti pentiti» e «l’uso politico della giustizia». «Fini - chiosa il Cavaliere - va esattamente nella direzione opposta. O fa chiarezza oppure la porta è quella...».
Una partita che si giocherà tutta nei prossimi giorni visto che difficilmente Berlusconi considererà chiusa la vicenda con la telefonata di Fini a Ballarò. Perché se da una parte l’ex leader di An si dice «convintissimo» che il premier «non c’entra nulla con la mafia», dall’altra non affronta i tanti nodi ancora sul tavolo.

Compresa l’opportunità che la terza carica dello Stato e un procuratore capo della Repubblica parlino in modo tanto confidenziale e ironico del presidente del Consiglio. Non nel privato di una stanza ma durante un appuntamento pubblico.

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