È un esame per il Milan non un test per Leonardo

Pensano tutti che sia un referendum su Leonardo allenatore capace o fortunato e invece no. Errore, errore sesquipedale scriverebbe il vate del derby di Milano, giuanbrerafucarlo. È l’esame più atteso per sapere in modo didascalico se il Milan dell’altro esordiente in panchina, Allegri, rimpolpato in giugno dagli spinaci di Ibrahimovic, riveduto e corretto a gennaio con la lampada di Fantantonio, può tornare dopo sette anni, a vincere uno scudetto, monopolio interista nell’era post-calciopoli. Ventuno turni vissuti dal Milan al comando della classifica non hanno cementato sicurezze e giudizi per un motivo quasi banale: perché tutti hanno sempre saputo e creduto che fosse l’Inter la più forte e che Ibra, da solo, non avrebbe potuto provocare il ribaltone.
Pensano in tanti, dalle parti di Milanello, che ci sia da regolare un conto extra-calcistico col «traditore» brasiliano il quale mostra sull’argomento una olimpica sicurezza, e invece la questione è diversa, clamorosamente diversa. Perché l’Inter è partita in ritardo, ha accumulato prima di Natale un distacco enorme, 13 punti, prima di mettersi a correre e di piombare alle spalle del Milan. Così il derby di oggi è diventato l’occasione plastica per un suggestivo sorpasso che spinga nell’abisso il rivale e prepari con uno spettacolare colpo di reni il ritorno in Champions. Dovesse mancare l’opportunità preparata dal destino, nessuno, dalle parti di Appiano Gentile, ne farebbe una tragedia. È questa la vera distanza psicologica scavata dalle due settimane di dibattiti, interviste, pronostici, macumbe, tra Milan e Inter.
Perciò l’iniziativa della curva rossonera di presentarsi ai cancelli di Carnago di primo mattino per incitare il gruppo depresso e in debito di condizione, sembra quella giusta rispetto ai tam tam sugli striscioni insolenti da dedicare a Leonardo.

Come i fischietti nerazzurri non impedirono all’altro traditore eccellente, Ronaldo, di «uccellare» Julio Cesar, spaventare Moratti in tribuna prima che Dida e soci si lasciassero stregare da Ibrahimovic e Cruz. Né a Ibrahimovic di mancare il pertugio giusto sul rigore decisivo della sfida dell’andata. Non contano i rancori, contano le energie nervose e fisiche. E anche il coraggio di sfidare e sfatare un tabù.

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