Cesare G. Romana
da Milano
Che smagliante allegoria dellamore, con le sue provvisorie conquiste e la sua fatale precarietà, ci affida Omero nellepisodio di Calipso, la ninfa dai crespi capelli che per sette anni tiene Ulisse legato a sé, prima di restituirgli la libertà per volere di Zeus. Lamore dunque che trafigge, sfugge e riemerge nel vivo della memoria: ché sono almeno dieci, nel lungo tragitto dellOdissea, i momenti in cui la «voce leggiadra» di Calipso riaffiora, evocata da veloci flashback.
Il nuovo disco di Francesco De Gregori, che esce oggi a soli undici mesi dallo splendido Pezzi, sintitola appunto Calypsos, ed è non a caso unassorta riflessione sullamore ineludibile, «che si gioca per vincere e chi vince è perduto», lamore «come una medicina/ o un dolore da rinnovare», insomma «lamore comunque»: con le sue fughe e il suo persistere.
O almeno questa è, insieme ad altre, una possibile chiave di lettura: ché sarebbe tradire questalbum magico e proteiforme, tentarne una lettura didascalica, imprigionandone in un netto percorso concettuale il sottile reticolo di allusioni, nuances, intriganti ambiguità. Infatti Calypsos è un gran disco proprio per il suo essere intimo, enigmatico, dolcemente contraddittorio. Perché dice senza dichiarare, mutuando lincanto inconscio dei sogni. Se Pezzi era il capolavoro palese, che ti possiede dacchito col suo ritmo di rock, Calypsos è un giardino dellanimo, una partitura cameristica che svela via via, nel riascolto, colori e profondità. A partire dai suoni: quel lieve discorrere del pianoforte, in Cardiologia, quel ritmo frizzante eppur mansueto di La linea della vita. Quelle trasparenze sospese in La casa, quel canto serpentino di In onda. Quel mondo che si svela per gradi in Per le strade di Roma, «quando la notte scende/ e il buio diventa brina/ e tutto si consuma e tutto si combina» e par di ritrovare certe liriche pasoliniane. Fino a Langelo che a me ricorda, ma a contrariis, unaltra grande pagina di De Gregori, Lagnello di Dio: «In realtà quella era una canzone sociale - puntualizza Francesco - questa è una riflessione sulla vita e la morte, sulla loro accettazione serena», ma potrebbe celare una pensosa parafrasi del dono damore: «Sono venuto a sciogliere/ e non a legare/ sono venuto a sciogliere/ e non a spezzare», la complicità che non insidia la libertà.
Non chiedo allautore se sia questa linterpretazione corretta: sa bene, Francesco, che la canzone non va decrittata, ma percepita, attraverso le sensazioni che irradia: «Non cè niente da capire», cantava lui stesso, molti anni fa. Piuttosto gli va di raccontare limpulso che ha dato vita a Calypsos, quando ancora durava il successo di Pezzi e un nuovo lavoro non sembrava alle viste: «Già quando scrivevo lalbum precedente, avvertivo questo genere di suggestioni, legate alla realtà degli affetti e dei sentimenti. Ma non legavano con lo stile e con la passione civile di Pezzi: così le ho tenute da parte, e subito dopo mi sono rimesso allopera». Da qui sono nate pagine come Tre stelle, ammiccante e tenerissima: «Piace anche a me, così minimale, con quellaspetto un po disneyano: i due innamorati che si ritrovano in un albergo a tre stelle potrebbero essere Minnie e Topolino...».
Insomma, un disco che viaggia controcorrente, questo Calypsos: parla dellamore - lo provoco - in un momento di così grandi tensioni sociali e politiche.
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