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Esce pure Vallanzasca: semilibertà per lavorare

Dopo quarant'anni di carcere esce pure Vallanzasca. Era stato condannato a quattro ergastoli e 460 anni di reclusione: negli anni Settanta fu il capo spietato e indiscusso della mala milanese. Dal mattino alla sera sarà in una pelletteria che gli ha offerto il posto

Esce pure Vallanzasca: semilibertà per lavorare

Milano - Una fama costruita in pochi mesi, a cavallo tra il ’76 e il ’77, per il resto Renato Vallanzasca è in carcere ininterrottamente dal 1972. Il detenuto che ha scontato la condanna più lunga. Da oggi però, alle soglie dei sessant’anni, può guardare il mondo con una nuova prospettiva: uscirà dal carcere per andare a lavorare. Tutte le mattine alle 7.30 lascerà il carcere di Bollate, inforcherà la bicicletta, andrà in un laboratorio a cucire borsette, quindi di nuovo in sella per tornare dietro le sbarre entro le 19, seguendo un percorso ben preciso. Se sgarra, di itinerario o di orario, scatta l’allarme evasione.
Un piccolo scampolo di vita normale per lui che di normale ha sempre avuto poco, a partire da quando ha 8 anni e cerca di liberare la tigre di un circo. Il giorno dopo viene prelevato dalla sua casa di via Porpora 162, zona Lambrate, dove sua madre, nubile, aveva un negozio di abbigliamento, portato al carcere minorile e quindi costretto a traslocare in via degli Apuli al Giambellino. Qui negli anni ’60 mette in piedi una banda con la quale fa i primi passi nel mondo, allora in bianco e nero, della mala. Fino a quando viene fermato nel 1972 dall’allora capo della mobile Achille Serra. Quattro anni e mezzo in cella poi riesce a contrarre volontariamente l'epatite, iniettandosi urine per via endovenosa, ingerendo uova marce e inalando gas propano, viene trasferito in ospedale da cui scappa.

E allora esplode tutta la furia criminale del «Bel René», così detto per l’indubitabile fascino che sapeva esercitare sulle donne. Sono mesi di sparatorie, rapine, sequestri di persona, omicidi, soprattutto di poliziotti. E posti di blocco. Si, era lui che fermava le macchine delle polizia, spogliava gli agenti e li rimandava nudi in questura. Nell’ultima sparatoria, viene ferito ed è costretto a fuggire a Roma dove viene arrestato. Altri due anni poi nel 1980 far entrare a San Vittore tre pistole con le quali prende in ostaggio un brigadiere e varca il portone del carcere. Dalle mura le guardie aprono il fuoco e lui, colpito, viene preso dopo pochi metri.

Ci riprova nel dell’87 quando scappa del traghetto in partenza da Genova per l’Asinara. Passa per Radio popolare a Milano per farsi intervistare, ruba la patente del giornalista Fabio Poletti e via. Viene fermato un mese dopo a Grado in Friuli da due giovanissimi carabinieri: «Quanti anni avete?» chiede. Poco più di vent’anni. E lui, pur essendo armato, replica: «Avete fatto 13, sono Vallanzasca». Inizia a rimbalzare da un carcere all’altro, tra rivolte e regolamenti di conti, per scontare quattro ergastoli e 260 anni per sei omicidi e quattro sequestri di persona.

Agli inizi degli anni Duemila è un uomo stanco e malato, e soprattutto sconfitto. Non ha problemi a far i conti con i suoi errori, si arrende allo Stato e chiede la grazia. Respinta.

Ma la sua buona condotta gli consente di usufruire dei primi permessi. L’anno scorso in particolare sta fuori quasi sei mesi per motivi di salute suoi, operato a un’anca, e della madre novantenne. Ora è semilibero. A cucire borsette in un cooperativa.

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