Un modo in atto oggi nel nostro Paese per demonizzare i piccoli imprenditori, gli autonomi, i commercianti, è quello di non fare sapere che la quota media delle tasse pagate da queste categorie è stata calcolata includendo anche le nuove imprese (che non hanno ancora sviluppato reddito) e le imprese che hanno nel frattempo cessato lattività. Certo, tra questi lavoratori non mancano anche gli evasori, ma grazie a questa «imprecisione» sembrano esserlo tutti.
Li si accusa di sfruttare i dipendenti e di creare precariato attraverso la legge Biagi, ma si censura il fatto che nel secondo trimestre 2006 lIstat ha registrato un aumento degli occupati di 536mila unità, risultato che indica non solo la diminuzione del tasso di disoccupazione (oggi uno dei più bassi in Europa), ma anche laumento del tasso di attività (quello delle persone che cercano attivamente il lavoro). Di più: da una recente indagine di Confindustria, risulta che nel corso del 2004 ben il 52,6% delle assunzioni a tempo indeterminato provengono dalla conversione di un precedente contratto, in particolare, a tempo determinato.
Si continua a dire anche che la piccola impresa italiana non può fare innovazione, senza menzionare le statistiche che vedono il nostro Paese al primo posto per innovazione di prodotto nellUnione europea.
È indubbio che si debba investire di più in ricerca e innovazione, ma si dovrebbe sapere che molta piccola impresa computa i costi di ricerca in costi correnti per non aumentare gli utili già fortemente tassati.
Ancora, si sottolinea la necessità di ritoccare gli stipendi inadeguati degli statali a discapito dei piccoli imprenditori considerati privilegiati, senza però ricordare che negli ultimi anni tali aumenti sono stati i più rilevanti rispetto a ogni altra categoria e che in un rapporto elaborato dallOsservatorio sullattuazione della strategia di Lisbona emerge che la pubblica amministrazione occupa il 20% della popolazione attiva in Italia (circa undici volte la percentuale del Regno Unito) raggiungendo un livello definito «senza eguali in Europa».
Che cosa capita quando ci si abitua a basarsi e a diffondere informazioni statistiche lacunose?
Si finisce per credere che siano vere e si perde di vista la realtà, continuando a giocare con i numeri. Certo, un uomo di governo può far rientrare i conti pubblici nei parametri di Maastricht con una finanziaria concepita, per un terzo, con questo scopo. È difficile pensare, però, di poter portare il Pil a una crescita del 3% con la medesima finanziaria che, per i rimanenti due terzi, va ad incrementare la spesa pubblica dei ministeri, drenando risorse da tanti «calabroni» operosi.
* presidente della Fondazione
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