Non ha usato la parola «referendum», come invece aveva fatto una settimana fa parlando alla Cei. Si è ben guardato dall’entrare nello specifico della legge 40. Non ha ricordato l’impegno della Chiesa in favore dell’astensione. Eppure l’ampio discorso con il quale per la prima volta Benedetto XVI ha rilanciato i temi della difesa della vita, della famiglia e del matrimonio è destinato a lasciare il segno perché avviene a sei giorni dall’apertura delle urne referendarie.
È indubbio quindi che sia al cardinale Camillo Ruini, Vicario della diocesi di Roma, che ha organizzato il convegno, sia allo stesso Pontefice che ha scelto di parteciparvi e di portare il suo contributo parlando delle «minacce» alle quali è sottoposta la famiglia, non deve essere sfuggito il significato di una tale iniziativa proprio in questa data.
Nel suo intervento Ratzinger ha toccato per la prima volta diffusamente il tema del relativismo, che era stato uno dei punti chiave dell’omelia da lui pronunciata il giorno dell’apertura del conclave dal quale sarebbe uscito Papa. Benedetto XVI lo ha definito «una prigione» che lascia «come ultima misura il proprio io e le sue voglie» e impedisce la «vera educazione». Ma ha anche dettagliato le minacce per la famiglia che derivano dal relativismo, non tralasciandone alcuna: ha definito «espressioni di una libertà anarchica» le coppie di fatto e le unioni gay e ha ribadito il «valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio». Ha detto che è «contrario all’amore umano» chiudere «la propria unione al dono della vita» e ancora di più «sopprimere o manomettere la vita che nasce», toccando così i temi dell’aborto e della manipolazione degli embrioni. Ha chiesto alle famiglie cristiane di «contrastare» il predominio del relativismo riaffermando l’intan-gibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, riferendosi così anche all’eutanasia. Ha parlato della «necessità» di leggi che aiutino le famiglie a mettere al mondo ed educare i figli, toccando così implicitamente anche il tema della scuola.
Questa volta, molto più di quanto avvenuto una settimana fa, sarà davvero difficile per gli avversari della posizione espressa dalla Chiesa italiana sui quattro quesiti referendari gridare all’ingerenza o parlare di intervento «inopportuno», perché il Papa si è limitato a ripetere l’insegnamento di sempre, sulla scia del predecessore Giovanni Paolo II e lo ha fatto senza entrare direttamente nel merito del dibattito di questi giorni. Eppure questa presa di posizione così chiara nell’imminenza del voto, che segue il discorso altrettanto preciso del cardinale Ruini - il quale lunedì 30 maggio ha proposto le ragioni della scelta astensionista - e l’altro discorso papale di sostegno alla linea dell’episcopato, richiama alla memoria l’impegno della Chiesa in occasione delle campagne referendarie sul divorzio e sull’aborto.
I vescovi sono convinti che quello di domenica prossima sia un appuntamento decisivo per il futuro dell’Italia, e questa convinzione è condivisa non soltanto dai cattolici, ma anche da tanti laici o non credenti, da intellettuali e politici distantissimi dalla Chiesa: presentare la campagna referendaria come uno scontro di religione, come una battaglia tra l’oscurantismo e le sorti progressive della scienza è dunque una caricatura della realtà che non fa onore a chi la propone.
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