Parlo della consapevolezza del sé; del Chi pensarsi e del come. La consapevolezza, così come la intendo qui e come credo debba essere intesa da chi riflette sul proprio io, è molto più del conoscere e del conoscersi comè nel pensar comune.
Direi che è piuttosto un riconoscersi per quello che come sinolo, direbbe Aristotele, essenzialmente od ontologicamente si è in quanto essere umano.
Il fare e il comportarsi conseguono la consapevolezza del quid est homo e, a maggior ragione, del quis est homo. Per meglio spiegarmi debbo distinguere il mio io dal mio me. Lio è lo stesso mio pensare, la mia consapevolezza. Il me è corpo con tutte le sue componenti, sintesi del Cosmo. Allio spetta la centralità dellessere, del pensare, del consapevolizzare e del ragionare. \
Cito un esempio classico di distinzione tra lio distinto ma non prescisso dal me: Giobbe giace sul letamaio con il suo corpo in decomposizione. I vermi brulicano sulle piaghe lebbrose. Lio di Giobbe è integro e sfida Dio: «Voglio afferrare la mia carne con i denti e metter le mani sulla mia vita: Lui mi uccida! Solo voglio difendere davanti a Lui la mia condotta!» (Gb 13).
Chi pensa e perciò parla è lio di Giobbe, il suo spirito integro. Il Giobbe spirito sottile e integro parla del sé, il corpo-materia. Materia in corruzione. Non di questa si compiace Iddio, ma dellio di Giobbe a Dio affine. Lio di Giobbe distinto, ma non prescisso dal suo me.
Il mio me è generato materia da materia. Il mio io sottile, cioè spirito incomposito di parti, non può essere che da Chi è lessere in se stesso, cioè da Dio purissimo Spirito. Con il che si deve concludere che ogni io deriva direttamente da Dio e senza Dio non cè io. È un atto creativo solo a Dio possibile perché trattasi di emanarlo ex nihilo sui dal nulla di quellio da unire a quel me, in subjecti, geneticamente generato, unicellulare, o zigote, il cui potere generativo venne da Dio stesso conferito crescite et multiplicamini (Gen 1,28).
Nessuna verità, anche scientifica, può essere ben appresa se non è razionalizzata in armonia con la verità complessiva che superi lattuale tendenza alla frammentazione della conoscenza. Credo fondamentale che i giovani debbano conoscere, anzitutto, la metodologia del pensare. Se ne parla sempre meno in questo terzo millennio, penalizzati dalla supplenza dellinformatica e della cosiddetta intelligenza artificiale. La garanzia è sempre la logica e, con la logica, la verità sul proprio essere: lio e il me.
Una verità confrontabile, ex abrupto, e quindi non impostami, ma scoperta dal mio pensare e con me dialogante. Una risposta allesigenza del mio io per essere lio che mi sento e so di voler essere al meglio, non teorizzazione soggettivistica, ma realismo personalizzante che implica studio oltre che del mio io, del mio me, del quale lio è sintesi, è penetrazione capillarizzata, è animazione, è sostanza, è vita e rivitalizzazione eterna. È infatti dalluso della metodica che si toccano le ragioni e le potenzialità dellessere. \
Il primo prodotto spontaneo di questa acquisita consapevolezza è, dunque, il senso di persona o di personalità che prescinde da dotazioni che nel greco si sintetizzano in aretè, che significa merito, qualità, preminenza, abilità, eccellenza, salute, bontà, valore, nobiltà e altro. \
Vivo e penso da novantanni. Vi ci sono arrivato perché, come si è soliti dire, il Signore lha voluto. Quel «il Signore» non lho mentalizzato a furia di ripeterlo, ma lho consapevolizzato riflettendo e acculturandomi. La fede è venuta un po prima e di più, dopo. È venuta leggendolo, il Signore, nel Vangelo, amandolo e poi sempre meglio credendolo. \
Ora, novantenne, consapevolizzo che il mio essere è stato tenuto a vista dallAlto. Libero, perché altrimenti non potrei riconoscermi un io; libero: e chi non sa, che come dice la lettera a Diogneto, «Lanima ama la carne anche se la carne si ribella alla santità dellanima»? Libero sì, ma vigilato sugli effetti dei miei errori, spesso deviato da mie scelte testarde, fatali per me e per il disegno generosamente affidatomi. \ Quale disegno? Incombente sul mio io che, pur esistendo, non posso essere solo me stesso? «Trattare tutti gli ammalati, anche i poveri di mente, come altrettanti Cristi». «Tutto quello che farete a ciascuno di questi, lo riterrò fatto a me». (Mt 25,40). Da qui il primo azzardo, nel 1959.
Allora lammalato, lammalato soprattutto grave, era quasi un pollo da spennare e, se nudo, da accumulare in stock da trenta, quaranta, anche cinquanta letti scrostati; pentoloni e mestoloni enormi, scodelle per lo più di alluminio. \
Del programma San Raffaele parlò pubblicamente per primo un editoriale di Mario Missiroli il 14 novembre 1959 che ben sintetizza questo mio essere che pur essendo, non può vivere senza fare per e con altri: una medicina ad alto livello uguale per tutti, come diritto umano e sociale. \
Ricerca mai troppo costosa: è limperativo impostoci dalla silente nostra consapevolezza del dover noi sempre più ampliare la conoscenza del nostro io per essere veramente un io, ogni io, da anticipare e da contrapporre a qualsiasi altro costo, a qualsiasi crisi, a qualsiasi povertà anche intellettuale.
Ed ecco il secondo azzardo. Lidea Quo Vadis: il nuovo San Raffaele a Verona che, partendo dalleducazione della consapevolezza sul chi è luomo in anima, intelligenza e perciò corpo, si doterà di strutture che incrementino la conoscenza di tutte le componenti umane, del come scientificamente valorizzarle in ogni età, e in ogni situazione anche ambientale, compreso il cerebro con i suoi chilometri di fibre e miliardi di sinapsi. \ In questo programma di eucrasia, un termine risalente a Ippocrate, è chiaro che converranno le migliori conquiste della medicina, della biotecnologia e delle scienze umanistiche. La ricerca del chi sono è implacabile ed è eternizzante.
*Presidente della Fondazione San Raffaele e Rettore dellUniversità Vita-Salute