All’inizio ha reagito a modo suo, d’istinto: sono affari miei. Poi però Cameron ci ha ripensato e nel giro di tre ore ha svelato i nomi, sedici grandi donatori del partito finiti a cena con lui, a Downing street o a Chequers, la residenza di campagna (quella dove ama vantarsi con gli ospiti di aver detto ad Angela Merkel: «Se le cose fossero andate diversamente, tutto questo avrebbe potuto essere tuo»). Banchieri, finanzieri, petrolieri: ricconi che hanno versato 23 milioni di sterline nelle casse dei Tory dal 2005, da quando Cameron è il leader.
C’è Paul Ruddock, un magnate della City sospettato di aver fatto palate di soldi approfittando del crollo della Northern Rock, la madre di tutte le rovine finanziarie britanniche. Era uno degli ospiti alla «cena di ringraziamento» post-elettorale del luglio 2010, organizzata al numero 10 di Downing street. Oltre a Ruddock c’erano Lord e Lady Sainsbury (lui è il presidente della catena di supermercati); Michael Hintze, re degli hedge fund e sostenitore di Adam Werritty, ovvero il «consigliere» personale dell’ex ministro della Difesa Liam Fox (che si è dimesso per lo scandalo); e poi Anthony Bamford, un gigante dell’edilizia, che ha versato 1,8 milioni al partito. C’era anche Michael Farmer, un uomo molto ricco (ha donato 3,3 milioni) e molto cristiano, interessato alle politiche a sostegno della famiglia. E poi Lord Feldman, numero due dei Tory e amico di Cameron dai tempi dell’università a Oxford.
Sempre a Downing street poi, ma nell’appartamento del premier al numero 11, sono stati ospiti Ian Taylor, petroliere che ha «aiutato» i ribelli libici a controllare il flusso del greggio (e tagliare fuori Gheddafi); il banchiere Henry Angest, euroscettico convinto e oppositore della Tobin tax almeno tanto quanto Michael Spencer, un big della finanza secondo cui la tassa sarebbe «la rovina della City», che poi guarda caso, fa notare il Times, è la stessa tesi del cancelliere Osborne.
Non si sa se, in queste cene, Cameron si sia esibito ai fornelli, anche se pare ami molto cucinare. Certo quello del Times è un piattino pesante da digerire visto che, dopo lo scoop sull’«obolo» da 250mila sterline chiesto dall’ormai ex tesoriere Cruddas per incontrare i vertici dei Tory (la «premier league»), il quotidiano di Murdoch ha rincarato la dose: uno smascheramento che sa di vendetta, dopo che Cameron si è sganciato dai tabloid dello Squalo e dai suoi uomini travolti nello scandalo intercettazioni, da Andy Coulson a Rebekah Brooks, che pure gli erano così vicini. Ma una dopo l’altra le bufere girano intorno al premier e svaniscono, lui sembra sempre uscirne con la faccia pulita, vincente, sicura. Anche ieri, con una delle sue inversioni di marcia (troppe forse, visto quante teste gli rotolano intorno, ma secondo Lord Feldman «sta imparando a scegliere le persone giuste») ha promesso che pubblicherà un registro dei pranzi ufficiali con i donatori più generosi.
Del resto per lui quei miliardari sono tutti volti familiari, «persone che frequento da anni» ha detto, con quella sua aria da snob normale che fa tanto irritare i suoi colleghi di partito che non abbiano studiato a Eton. È così che Cameron affronta tutte le sfide, come ha scritto il Financial Times: da vincente. Da uomo che ama il potere, ama il suo ruolo e «la cui convinzione politica più forte è che sia il migliore per guidare il paese». Finora era 16 punti sopra nei sondaggi rispetto al suo partito.
Si vedrà se anche stavolta ne uscirà indenne, se potrà continuare a guardare tutti dall’alto, senza vergogna: la sua arma segreta è sembrare forte, così a suo agio con il potere da non potersene staccare. Bisogna vedere se il potere non si stancherà di lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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