Bengasi contro Tripoli: aria di secessione

Bengasi contro Tripoli: aria di secessione

É lì, in Cirenaica, dove tutto è cominciato, compresa la fine del colonnello Gheddafi, che si giocano i destini della Libia. Ed è lì, in Cirenaica, dove tutto è cominciato, che malauguratamente verranno rimessi in discussione quegli equilibri regionali che l'anno scorso, obtorto collo, ma trascinati da un concatenarsi di eventi irrefrenabili, contribuimmo a mettere in piedi. Volevano «federalismo e autonomia», i capi delle tribù che promossero l'«alzamiento» contro il regime di Gheddafi. L'avessero ottenuto, la corsa verso il precipizio e la guerra civile si sarebbe forse potuta arrestare sul nascere. Così, se Gheddafi avesse mostrato un minimo di senno, e di conoscenza dei rapporti di forza sul terreno, non avrebbe trascinato il Paese e se stesso nel sangue. Avrebbe abbozzato, dopo i primi mesi di repressione fallita. E oggi avrebbe forse continuato a regnare su un Libia amputata e federalista, invece di finire linciato come un ladro di cavalli implorando pietà di fronte ai suoi aguzzini. Ma con i «se», come ognun sa, si costruiscono solo belle e inutili teorie.
Ieri, come se il tempo fosse trascorso invano, e come se fossero del tutto disinteressati, estranei agli equilibri politici creatisi a Tripoli dopo il varo del governo provvisorio, i capi dei clan tribali e delle milizie delle province orientali della Libia hanno proclamato l'autonomia della Cirenaica, dicendosi favorevoli a un sistema federale per il nuovo Stato libico. Cioè a quel sistema che era stato abrogato nel 1964. Ma non è tutto qui. Bengasi chiede infatti una nuova Costituzione che sancisca uno Stato «che riconosca l'Islam come base della vita civile». Non siamo alla sharia, ma l'impronta è quella fortemente voluta dai «Fratelli Musulmani», la cabina di regia integralista che ha «sceneggiato» e diretto la rivoluzione a Tripoli e al Cairo. Sicchè viene da chiedersi ancora una volta se valeva la pena - di fronte ai risultati conseguiti - impegnarci come abbiamo fatto, perfino militarmente, per mettere in piedi regimi, di fronte alle nostre coste, potenzialmente ostili.
Alla guida del Consiglio che nelle intenzioni dei capiclan di Bengasi governerà la Cirenaica autoproclamatasi autonoma è stato eletto il 77enne Ahmed Zubair al-Senussi, pronipote dell'ultimo re libico Idris nonché leader tra i leader della rivolta contro Gheddafi. «Il sistema federale è la scelta della regione», si legge in un comunicato congiunto diffuso al termine del congresso, a cui hanno preso parte 3mila fra leader tribali e comandanti di milizie. Sfortunatamente non la pensano alla stessa maniera a Tripoli, dove il Consiglio Nazionale Transitorio ha già respinto il progetto federalista per il quale i leader della Libia orientale si richiamano alla Costituzione del 1951, che prevedeva un esecutivo federale. Anzi «dietro questa sedizione ci sono dei Paesi arabi» accusa il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil. La dichiarazione dei capiclan riuniti a Bengasi segna dunque una svolta storico politica, per la Libia e l'Occidente, le cui conseguenze non sono facili da valutare, al momento. Chi poteva pensare, del resto, che solo sei mesi dopo la caduta del raìs si sarebbe riproposta in modo così plateale la storica contrapposizione fra Tripoli e Bengasi?
L'idea di una Libia spaccata a metà, con i territori petroliferi della Cirenaica in mano a un governo federale islamista ovviamente non piace al governo centrale tripolino.

Ma getta una luce inquietante anche sui rapporti con i Paesi, Italia e Francia soprattutto, che con la Libia hanno in essere accordi per lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Lo spettro, quello che oggi nessuno vuole evocare, ma che è tornato ad aleggiare sui cieli del deserto libico, è quello di una nuova guerra civile che getterebbe nuovamente l'area nel caos.

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