Una bomba nel cuore della Istanbul europea, nel quartiere di Sutluce, a due passi dal Corno d'Oro. Una bomba piazzata nel vano portaoggetti di una moto parcheggiata con disinvoltura accanto a un pullmino della polizia, di quelli che stazionano nei punti nevralgici di molte città nel mondo. Sedici i feriti, tutti poliziotti che intorno alle 9 del mattino (le 8 in Italia) si stavano dando il cambio intorno a un paio di obiettivi «sensibili»: la sede del partito islamico conservatore Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan, e la Musiad, l'associazione degli imprenditori legati agli ambienti islamici.
A giudicare dalla scena dell'esplosione, e dal mozzicone rimasto di una delle due autovetture investite dall'esplosione, si direbbe un caso, un miracolo, che non ci sia scappato qualche morto. Non è la prima volta che la sede dell'Akp di Sutluce, una delle più importanti di Istanbul insieme con quella di Mecidiyekoy, viene presa di mira. Ci avevano già provato quattro anni fa, con un attentato dalle modalità analoghe, e quella volta avevano ammazzato un povero agente di pubblica sicurezza.
È ai morti, dunque, che i terroristi miravano anche stavolta. Giusto per ricordare al governo (che ha già puntato il dito contro i ribelli del Pkk, minacciando ripercussioni severe) che il dossier curdo, a dispetto delle assicurazioni e dei sorrisi ammanniti alla comunità internazionale a proposito di una presunta distensione nel Kurdistan, è tutt'altro che chiuso. Ma non è solo questo. I segni della devastazione lasciata dalle esplosioni di ieri mattina, e le insistite immagini trasmesse al mondo intero dalla CNN dal centro di Istanbul hanno avuto il merito (era questo lo scopo?) di puntare nuovamente i riflettori su un Paese la cui deriva islamica, conseguente alle scelte politiche della sua dirigenza, che punta a diventare punto di riferimento, faro dei Paesi musulmani, preoccupa sempre più le cancellerie occidentali.
Finito il tempo in cui il primo ministro Erdogan e il suo volitivo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, si vantavano di non avere «alcun problema» col mondo. Da allora, era il dicembre del 2010, quello slogan: «zero problems», detto e ripetuto fino alla noia in ogni occasione pubblica da Erdogan e dal professor Davutoglu è diventato il refrain che accompagna molte delle vignette dedicate dalla stampa d'opposizione ai vertici del potere. Ma Erdogan e Davutoglu non sembrano preoccupati. I loro obiettivi sono ormai sufficientemente chiari: ricollocare la Turchia sulla scena internazionale, minare alla base i pilastri che garantivano la laicità dello Stato e mettersi alla testa non soltanto della regione, ma dell'intero mondo islamico. Il tutto, s'intende, nel rispetto delle regole democratiche all'interno (e una cosa così ancora non si era vista, nella storia) di una visione islamista della società.
E poco importa se, in poco più di un anno, i problemi della Turchia col mondo esterno sono diventati una montagna. A elencarli, non si sa più da dove cominciare. In freddo con la Francia, dopo la decisione del governo Sarkozy di punire i negazionisti dei genocidi, compreso quello armeno compiuto dalla Turchia nel 1915, Erdogan era arrivato a minacciare addirittura la rottura dei rapporti diplomatici. Ai ferri corti la Turchia è con Israele, l'ex alleato di ferro nella regione, dopo gli attacchi delle forze di sicurezza israeliane contro la flottiglia che portava aiuti ai palestinesi di Gaza. Molto tesi si sono fatti i rapporti con la Siria dopo i violenti attacchi del regime di Damasco contro gli integralisti islamici che puntano a portare la «primavera araba» (sulle canne dei kalashnikov) anche a Damasco. Ci sono poi i capitoli Cipro e Grecia, aperti da decenni ed esacerbati dopo la decisione greca di costruire un «muro» per arginare l'immigrazione in Europa. Al novero dei «nemici» di nuovo conio della Turchia bisognerà aggiungere anche l'Irak, il cui governo si è risentito dopo una serie di incursioni dell'esercito turco a caccia di curdi in territorio iracheno, appunto. In freddo con l'Unione Europea per via della sua mancata ammissione fra gli Stati membri, la Turchia si è messa in urto recentemente anche con la Russia, per via dei prezzi del gas.
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