Alla fine ha vinto lui. S'è guadagnato una vacanza lunga 21 anni in una prigione a cinque stelle e s'è conquistato la patente di lucido massacratore. Era quello a cui puntava. Il ghigno sardonico, ma riconoscente, regalato al giudice signora Wenche Elisabeth Arntzen dopo la sentenza ne è la prova. Come lo è la decisione, annunciata da tempo, di non appellarsi, di non contestare il verdetto. Come lo è quella frase atroce sussurrata all'uscita dall'aula «Chiedo scusa ai militanti nazionalisti di Norvegia e d'Europa per non aver ucciso di più».
Il verdetto che lo giudica sano di mente e lo condanna a 21 anni di reclusione è quello a cui Anders Breivik puntava. Lo aveva già fatto capire. Lo aveva scritto a chiare lettere nel memoriale pubblicato su internet prima di far esplodere un autobomba nel cuore di Oslo e far strage di ragazzini sull'isola di Utoya. Nei suoi piani quella mattanza, costata la vita a 77 innocenti, doveva essere assolutamente attribuita a una persona sana di mente. Nella visione di Breivik un pazzo non può sperare di venir ricordato come un profeta. Un folle non può sperare di venir ammirato per le sue atrocità. Un lucido assassino può invece sperare in folle di fan ed emulatori. Non a caso lui continua a dirsi innocente. Non a caso s'augura che quel massacro inconsulto venga ricordato come una ribellione al conformismo ideologico di una Norvegia incapace di opporsi ai propri nemici. Non a caso sogna di passare alla storia e trasformarsi nel profeta di quegli immaginari «militanti nazionalisti» a cui continua a rivolgersi.
Ma il livello di follia lucida e visionaria che alimenta quel disegno supera evidentemente quello previsto e codificato dal diritto norvegese. E così la signora Arntzen e il resto dei giurati si ritrovano costretti a giudicarlo sano di mente annullando le richieste di un'accusa che puntava sull'infermità mentale per rinchiuderlo a vita in un manicomio criminale. Breivik si vede risparmiata, insomma, la condanna più temuta, l'unica considerata, per sua ammissione, «peggiore della morte».
E il successo conseguito da Breivik ha anche una non trascurabile parte pratica e materiale: la sistemazione. L'accoglienza garantita dal carcere di Ila, il centro di detenzione a dodici chilometri da Oslo in cui Breivik trascorrerà i prossimi ventun'anni, è di qualità decisamente superiore a quella offerta da molti degli hotel a due o tre stelle in cui passano le vacanze tanti italiani. Anche perché la stanza dormitorio da quattro metri per due dotata di letto, armadio e scrivania è solo una delle possibili sistemazioni quotidiane. Il regime di assoluto isolamento che gli impedisce d'incontrare altri reclusi, ma gli consente d'interagire con le guardie è alla fin dei conti un vantaggio. Per rimediare alla solitudine il massacratore di Oslo avrà sempre a disposizione una stanza palestra dove allenarsi su un rullo scorrevole e una stanza ufficio. Quest'ultima comprende una scrivania e un computer su cui il verboso e prolifico Breivik potrà aggiungere altre pagine al suo manifesto. Per documentarsi non potrà collegarsi a internet, ma potrà connettersi a un'enciclopedia «on line» - simile a Wikipedia - messagli a disposizione dall'amministrazione carceraria.
Insomma, avrà il tempo e i mezzi necessari per fingere d'esser cambiato e studiare come imboccare la strada della strada della liberazione. La legge norvegese prevede infatti che la reclusione a 21 anni rappresenti il massimo della pena e che possa essere prolungata soltanto nel caso in cui il condannato continui a dimostrarsi socialmente pericoloso e a perseguire le sue convinzioni.
Ma sul fronte della compassionevole giustizia norvegese uno sconto di pena è assai più frequente di una reiterazione. Da questo punto di vista la sentenza letta in aula parla chiaro.
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