Dunque Vladimir Putin, zar di tutte le Russie, è davvero un insopportabile tiranno? O è, piuttosto, un politico illuminato e sagace, giusto un po' duretto di carattere, come per esempio ritiene Edward Snowden, la «Talpa» del Datagate, che dopo un mese di stabulazione nell'area transiti dell'aeroporto di Mosca potrebbe ottenere asilo politico temporaneo in Russia, grazie a Putin, appunto, sfuggendo agli agenti della Cia che da un pezzo aspettano di mettergli le mani sulla collottola?
Il giudizio, naturalmente, resta aperto. Dipende come sempre da dove si guarda, da come si guarda, dal cui prodest, visto che di «certezze» democratiche, come quelle a cui siamo abituati a pensare noi, non è che ce ne sia mai stata un'esagerazione, all'ombra del Cremlino.
Alla prima scuola di pensiero, quella che vede in Putin una specie di Nerone, però sul biondo e col sorriso facile, appartiene per esempio Alexei Navalny, 37 anni, uno dei grandi leader, se non il principale, dell'opposizione al presidente. Navalny, avvocato e blogger con un larghissimo seguito popolare, è stato condannato ieri da un tribunale della regione settentrionale di Kirov, per appropriazione indebita (380 mila euro spariti) in relazione alla vendita sottocosto di partite di legname ai tempi in cui era consulente del governatore locale, quattro anni fa. Una bazzecola, oggettivamente, in un Paese in cui si ruba e si intrallazza per milioni di triliardi.
Sicchè eccoci al paradosso. Per Snowden, che con il Datagate ha sputtanato il governo del presidente Obama, e gli americani vogliono processare per alto tradimento, Putin è come la Madonna di Porto Salvo. Un giglio. Per Navalny, e il vasto mondo che lo sostiene, Putin è invece quello di sempre: artiglio di falco in un guanto di velluto guarnito di falpalà. Il tutto in un metro e sessanta circa di gelo siberiano.
L'ondata di critiche internazionali seguita alla condanna di Navalny, non si placherà tanto presto. Questione di giorni, comunque. A Mosca ormai lo sanno come funziona la rumba della propaganda. I giornali e la televisione, e le anime belle dei diritti civili fanno un po' di casino. Poi però si stufano. Come il pubblico, che si scoccia facile per principio e ogni tre giorni vuole un brivido nuovo.
Sapendo come vanno le cose dalle sue parti, il blogger Navalny l'ha presa sportivamente. Ha abbracciato la moglie e la mamma, ha stretto la mano al papà e infine ha porto i polsi alle manette.
La prima conseguenza del verdetto è stata la decisione di Navalny di ritirare la sua candidatura alle elezioni per la carica a sindaco di Mosca, in programma a settembre.
Subito dopo il verdetto di colpevolezza, ostentando una calma che somigliava più a una gelida incazzatura che a un'ostentazione di sangue freddo, Navalny ha twittato un «era tutto organizzato», mentre all'esterno del tribunale i suoi fan scandivano slogan come «abbasso lo stato di polizia».
Scontata la riprovazione degli Usa, che aspettavano solo un pretesto per far pagare a Putin la simpatia e la disponibilità dimostrata per il traditore Snowden. Ma anche a Bruxelles la sentenza ha sollevato «gravi dubbi» sul rispetto dello stato di diritto in Russia. Domani ci occuperemo d'altro.
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