La nuova emergenza è sopravvivere. Quelli che sono riusciti a scampare al tifone Haiyan-Yolanda, ora devono lottare: per mangiare, per bere, per dormire, per non essere colpiti da un'infezione o un'epidemia. Per non morire, dopo esserci andati tanto vicino. Ma qualcuno non sfugge alla sorte. Beffardo, morire per un sacco di riso dopo che il mondo ti è crollato intorno, la casa, la famiglia, la città, tutto. Eppure nelle Filippine, e soprattutto nei villaggi e nelle cittadine della provincia di Leyte, fra le più colpite dalla catastrofe, succede: ad Alangalang, ieri, a pochi chilometri da Tacloban, migliaia di persone affamate hanno assalito un deposito di riso. Una ressa ingestibile: i poliziotti, i militari e le guardie private schierate a difesa del magazzino non sono riusciti a fermare la disperazione della gente. Un muro dell'edificio si è sgretolato sotto la pressione della folla, e otto persone sono morte: vittime fra le vittime, con la loro nuova tragedia nella tragedia più grande, immane, che ha travolto il Paese. Le autorità hanno chiesto almeno di dividere (e non vendere) il cibo rubato: 33mila sacchi da 50 chili l'uno di riso pronto per essere cotto e mangiato e altri 96mila sacchi ancora da raffinare. Sono undici milioni gli abitanti colpiti dall'emergenza, almeno ottantamila le case distrutte, 41 le province spazzate dal tifone. Secondo la Farnesina, sull'isola di Leyte sarebbe ancora isolato - e non contattabile - «un numero esiguo» di italiani. Per il presidente del Consiglio per la gestione e la riduzione dei disastri Almendras è «la più grande emergenza logistica mai affrontata dalle Filippine». È difficile perfino smistare e distribuire gli aiuti: non è possibile spostarli tutti per via aerea, e poi non tutti i voli possono atterrare a Tacloban, la città-capoluogo di Leyte completamente distrutta e molti devono arrivare a Cebu. Il risultato è che gli aiuti ritardano, e i sopravvissuti sono sempre più affamati, disperati, pronti a tutto. A Tacloban, nei giorni immediatamente successivi al passaggio devastante di Haiyan, un insegnante aveva avvertito: «Se non arrivano gli aiuti, entro una settimana cominceremo a ucciderci». Una previsione che incombe sul destino di chi è sopravvissuto. È successo ieri al deposito di riso ad Alangalang. Ma la violenza si diffonde sempre di più: ieri c'è stato uno scontro a fuoco fra poliziotti e sciacalli anche ad Abucay, mentre a Tacloban una serie di spari ha interrotto all'improvviso la sepoltura di una parte dei cadaveri recuperati. Era già stata scavata una fossa comune, ma allo scoppiare dei colpi i medici che dovevano assistere sono stati fatti subito allontanare, e i camion pieni di corpi senza vita hanno dovuto fare retromarcia. Un ulteriore ritardo nelle operazioni che potrebbe complicare la situazione sanitaria già precaria.
Cumuli di cadaveri sono ancora in attesa ai bordi delle strade o fra le macerie, ma manca tutto, anche per seppellirli: i volontari per raccoglierli, le bare, perfino i sacchi. L'odore avvolge ormai la città, il rischio di epidemie è alto. Ma non ci sono aiuti, né per i vivi, né per i morti: ognuno deve cavarsela da sé. E magari morire per un piatto di riso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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