Guerra civile Migliaia fuggono in Turchia

Non è la prima volta che se ne parla, ma sentirlo dire da un re fa una certa impressione. Bashar Assad non solo non ha alcuna intenzione di mollare («non ha altra alternativa che far parlare le armi») ma si starebbe preparando a spaccare in due la Siria, creando una roccaforte indipendente dal resto del Paese nella regione alawita a lui fedelissima nel nord-ovest siriano. Lo ha detto ieri, confermando autorevolmente ipotesi già circolate nelle scorse settimane, Abdallah II, il re di Giordania.
Quella stessa Giordania in cui all'alba di ieri (solo ieri e non tre giorni fa, come era stato in precedenza fatto credere) è finalmente arrivato l'ex premier siriano Riyad Hijab, in fuga dal regime di Assad che ha definito genocida. Ahmed Kassem, leader dell'Esercito siriano libero, ha affermato che le precedenti notizie erano state diffuse con l'intento di «confondere il regime siriano» mentre Hijab si trovava «in un luogo sicuro» poco distante dal confine giordano in attesa di espatriare.
Un'altra fuga, quella di massa dei siriani terrorizzati dai combattimenti che divampano soprattutto ad Aleppo e dintorni, continua verso la confinante Turchia: soltanto ieri, secondo dati ufficiali turchi, 2400 profughi hanno varcato il confine. In gran parte si tratterebbe di donne e bambini, ma c'erano anche quattro alti ufficiali disertori dell'esercito regolare, tra cui due generali. Complessivamente, ad oggi sono circa cinquantamila i siriani che hanno trovato rifugio in Turchia: a questi vanno aggiunti quanti hanno scelto di scappare in Libano e in Giordania.
Sul terreno, in Siria si è costretti anche oggi a registrare la monotonia della barbarie, con nuove stragi e combattimenti che non risparmiano i civili, soprattutto ad Aleppo. Qui i rivoltosi negano di aver perso il controllo del quartiere conteso di Salaheddin: per ripredere parte delle aree perdute sono stati fatti arrivare, secondo un portavoce, 700 combattenti da altri fronti della guerra civile. Anche a Hama, città tristemente famosa per la strage di circa ventimila oppositori estremisti islamici che il padre di Bashar Assad, Hafez, ordinò trent'anni fa, si combatte accanitamente e il bilancio complessivo delle battaglie di ieri si aggirerebbe sui cento morti.
E mentre oggi a Teheran si apre un summit di Paesi simpatizzanti della causa iraniana e siriana, in Europa torna a farsi sentire, scegliendo come argomento proprio la crisi in Siria, la voce di un uomo politico che ha da poco perso la sua alta carica: l'ex presidente francese Nicolas Sarkozy, che è tornato a chiedere una urgente azione internazionale per risolvere la guerra civile nella ex colonia di Parigi.

Rimasto in silenzio per i tre mesi trascorsi dalla sconfitta alle presidenziali, Sarkozy ha preso in contropiede il presidente socialista François Hollande - attualmente in vacanza, sembra quasi un dispetto - diffondendo un comunicato in cui fa sapere di aver parlato a lungo al telefono con uno dei leader dell'opposizione al regime di Damasco, Abdel Basset Sayda, presidente del Consiglio nazionale siriano. Nel comunicato comune, i due sottolineano la necessità di una «rapida azione» nel Paese in preda ai massacri e accennano ad alcune similitudini con la crisi libica.

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