Hamas apre a una tregua Gli Usa mandano a trattare un «triumvirato islamico»

L'aviazione israeliana continua a martellare le infrastrutture militari di Hamas nella Striscia di Gaza, ma non cessano i lanci di razzi sul territorio dello Stato ebraico. In queste condizioni, avverte il governo di Gerusalemme, sarà inevitabile un'invasione con le forze terrestri «entro 24-36 ore» per far cessare gli attacchi indiscriminati contro i civili in Israele. E mentre gli sviluppi militari di queste ore fanno presagire un'escalation, in ambito diplomatico i riflettori sono accesi sul Cairo, dove si incontrano i leader di alcuni tra i più importanti Paesi mediorientali che, con l'incoraggiamento esterno della Casa Bianca secondo l'ormai nota dottrina obamiana, propongono una mediazione per fermare lo spargimento di sangue.
Secondo dati forniti da fonti militari israeliani, sono già mille gli attacchi aerei condotti sulla Striscia dall'inizio dell'offensiva (a fronte di 737 razzi piovuti da Gaza su Israele): azioni mirate contro le installazioni militari di Hamas, ma anche - come già si è dimostrato nei giorni scorsi - contro le principali infrastrutture del potere politico e personalmente contro i capi del braccio armato del movimento integralista islamico al potere a Gaza dal 2006: dopo l'uccisione del capo dell'ala militare di Hamas Ahmed al-Jabari e di uno dei principali leader politici del movimento, Ahmed Abu Jalal, bombe sono cadute presso Rafah sulla casa di Mohammed Abu Shamala, comandante per il sud di Gaza delle brigate al-Qassam e possibile successore di al-Jabari, e ancora ieri secondo la televisione al-Jazeera contro le abitazioni di altri capi militari di Hamas nel campo di Jabaliya.
La dichiarata attenzione a evitare vittime civili palestinesi non ha impedito fin qui, secondo fonti ospedaliere di Gaza, un pesante bilancio di 42 morti, di cui 10 nella sola giornata di ieri. Sull'altro fronte, continua il lancio di missili verso Israele: nell'episodio più rilevante, un razzo è stato intercettato nel cielo di Tel Aviv da una batteria difensiva del sistema Iron Dome.
Nonostante tutto questo, è il fronte diplomatico che ieri ha inviato i messaggi più significativi. Tre mediatori del mondo mediorientale - il presidente egiziano Mohammed Morsi, il premier turco Recep Tayyip Erdogan e l'emiro del Qatar Hamad Khalifa al-Thani - si sono incontrati al Cairo con il leader di Hamas in esilio Khaled Meshaal per cercare di individuare un percorso che porti alla fine delle violenze. Hamas ha chiarito che non se ne parla di fermare i missili «senza garanzie», ma in serata ha specificato la richiesta di fermare gli omicidi mirati. Erdogan, leader di un Paese che fino a pochi anni fa era un sicuro alleato di Gerusalemme, ha minacciato gli israeliani ricordando loro che «dovranno render conto del massacro di bambini innocenti a Gaza», dimenticando che il lancio di missili su obiettivi civili è stato avviato dai palestinesi: insieme con Morsi, che ha già richiamato il suo ambasciatore da Tel Aviv, fa una coppia davvero poco imparziale di mediatori. Ma di questo l'attuale amministrazione americana si accontenta, riconoscendo di fatto il ruolo regionale di prima grandezza che Egitto, Turchia e Qatar si sono costruiti in questi anni di grandi cambiamenti.
La Casa Bianca prende comunque chiaramente le parti di Israele, sottolineando che sono stati i razzi sparati da Gaza a far precipitare la situazione e riconoscendo il suo diritto a difendersi.

Allo stesso tempo, Obama fa chiaramente intendere a Netanyahu che non vuole l'attacco di terra alla Striscia. Ma il clima rimane incandescente: la Lega Araba accusa Israele di crimini di guerra e annuncia che intende «rompere» l'embargo israeliano su Gaza.

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