Una milizia sospettata d'essere dietro l'attacco al consolato americano di Bengasi è stata cacciata dal proprio quartier generale nella notte tra venerdì e sabato da una folla di cittadini. Oltre 30mila persone hanno marciato a Bengasi venerdì in una manifestazione contro l'assalto alla sede diplomatica americana, chiedendo lo smantellamento di quelle milizie - decine in Libia - il cui contributo nel 2011 è stato strumentale nella caduta di Muammar Gheddafi. «Legittimità soltanto a polizia ed esercito», «Giustizia per Chris», era scritto su alcuni cartelli, con riferimento all'ambasciatore americano Christopher Stevens, ucciso nell'attacco al consolato. Le tensioni sono sorte quando è iniziata una contro manifestazione, organizzata dalla milizia Ansar El Sharia, sospettata d'essere legata all'assalto dell'11 settembre. Ansar El Sharia - in arabo «sostenitori della legge coranica» - è un gruppo armato islamista. La loro manifestazione era in favore dell'implementazione della legge islamica. Quando i due cortei si sono incontrati, alcuni manifestanti hanno gridato ai membri della milizia: «Terroristi, tornatevene in Afghanistan». Soltanto più tardi, un gruppo si è staccato dalla marcia principale e ha preso d'assalto il quartier generale di Ansar El Sharia, obbligando la milizia ad abbandonare la caserma portandosi dietro le proprie armi. I manifestanti hanno poi consegnato il quartier generale conquistato all'esercito libico.
Per il New York Times ci sarebbe stato coordinamento tra le forze di sicurezza e i cittadini. È stata presa d'assalto anche la caserma di una seconda milizia, Sahati, considerata però vicina al governo. Non è ancora chiaro quale sia il numero dei morti degli scontri notturni: alcuni media parlano di due, altri di quattro o nove o undici vittime. Dalla caduta di Gheddafi a ottobre 2011, l'espandersi delle milizie è stato il maggior problema della nuova Libia. Il potere dei gruppi armati, spesso in conflitto tra loro nelle strade del Paese, ha fatto ombra alle deboli forze armate locali. Nonostante ciò, come scrivono sia Economist sia Foreign Affairs, in Libia le forze rivoluzionarie hanno portato avanti una transizione politica che è stata finora un inatteso successo. Contro ogni aspettativa, nonostante i disordini e il caos delle milizie, nel giro di un anno ci sono state elezioni libere, sono stati eletti politici che lavorano alla creazione di istituzioni inesistenti al tempo di Gheddafi, non c'è stata la tanto evocata guerra tra tribù, i partiti islamisti hanno preso pochi seggi e oggi i cittadini di Bengasi, in assenza di un esercito capace, hanno cacciato da soli una milizia sospettata d'essere all'origine di un terribile crimine.
Se la Libia ha manifestato in favore degli Stati Uniti - una scena inedita in una regione attraversata per decenni da robusti sentimenti anti-americani - nel resto del mondo musulmano infuriano ancora le proteste contro Washington, legate al video «L'innocenza dei musulmani» che ha scatenato gli assalti alle sedi diplomatiche dei giorni scorsi. In Pakistan, dove venerdì ci sono stati 21 morti in scontri tra polizia e manifestanti, ieri c'è stata una protesta pacifica a Islamabad, mentre da Peshawar il ministro delle Ferrovie Ghulam Ahmed ha annunciato una taglia di centomila dollari sul regista del video incendiario: il ministro avrebbe addirittura chiesto aiuto a talebani e Al Qaida.
In Bangladesh, scontri tra polizia e manifestanti a Dhaka: le forze dell'ordine hanno vietato le proteste da venerdì, ma 12 movimenti islamisti hanno sfidato il divieto e organizzato anche uno sciopero generale per oggi. Decine di migliaia di persone hanno invece sfilato in Nigeria, a Kano, gridando slogan contro America e Israele, in una marcia organizzata da un gruppo sciita vicino all'Iran.Twitter: @rollascolari
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