«Qui sono davvero pochi quelli che ormai si fidano dell'Europa». Özgehan Senyuva insegna Relazioni Internazionali alla Middle Technical University di Ankara. Il suo sguardo lucido, disincantato, sereno. Fa fatica, però, a parlare solo da professore, perché qui è in gioco il futuro della sua Turchia. Sono anni che studia i rapporti tra i vertici della Ue e questo pezzo di mondo sospeso tra due culture e due continenti. È una relazione difficile, ambigua, con qualche passo avanti e tanti, sfiancanti stop.
Si può parlare di primavera turca? O si tratta un governo legittimo, in quanto eletto democraticamente?
«No questa non è Tahrir, non è un problema di democrazia, questo è un problema di governance. I manifestanti non contestano le elezioni, riconoscono la legittimità del governo. Questa manifestazione nasce come in un qualsiasi paese democratico, l'intervento violento ha fatto cambiare la natura delle rivolte. Erdogan deve riconoscere che democrazia non significa solo elezioni, ma anche libertà di manifestare».
Quali sono gli elementi culturali e sociali che accomunano i manifestanti? Ci sono gruppi anarchici o politicizzati?
«In un class survey svolto durante i primi due giorni di manifestazioni, dall'università di Bilgi, è emerso che il 70% dei manifestanti non fa parte di gruppi politicizzati. Questo numero cresce nel sondaggio del 6/7 giugno, svolto da Konda, in cui sono stati intervistati 2000 manifestanti, l'80% è risultato far parte della società civile e non di schieramenti politici»
Come sono suddivisi al loro interno?
«In due gruppi, quello presente dentro al parco e quello presente nella piazza. All'interno del parco troviamo pacifisti, gruppi apolitici, gruppi di omosessuali e lesbiche, che cooperano, organizzando la distribuzione del cibo e iniziative varie. Una grande novità è la presenza dei tifosi delle più grandi società di football. Uscendo dal parco, sulla piazza, troviamo gruppi non numerosi, di anarchici, partiti politici minori, non presenti in parlamento. E poi di musulmani».
Islamici?
«Sì, i Musulmani anti-capitalisti, molto critici sulle scelte del governo, ritenute troppo capitaliste e lontane dal vero Islam. Hanno una piccola moschea nel parco, dove cinque volte al giorno pregano, sono in perfetta armonia con il gruppo all'interno del parco, dove non si trovano bandierhe politiche, ma solo bandiere di pace
Gli ultrà hanno un ruolo attivo nella manifestazione
«In particolare i tifosi del Carsi, un gruppo molto attivo, che lotta per i diritti umani e l'ambiente. Fino a un mese fa si erano verificati scontri tra due importanti società di calcio, adesso si ritrovano tutti uniti, c'è un movimento: Istanbul United, di cui fanno parte i tifosi delle tre principali squadre: Galatasaray, Fenerbahce e Besiktas».
Tifoserie violente o polizia dal manganello facile?
«In passato, spesso si son verificati interventi violenti da parte dei poliziotti sui tifosi, il primo maggio scorso, dopo l'ultimo match nello stadio di Besiktas, durante la grande festa autorizzata nelle strade, la polizia è intervenuta con violenza, usando potenti lacrimogeni e gas, fu una sorta di prova di quello che sta avvenendo adesso. Il gruppo di tifosi Carsi è molto famoso in questo momento, un punto di riferimento per la popolazione, paragonabile a un super eroe, che interviene in difesa dei cittadini, il loro intervento viene preferito a quello della polizia».
C'è differenza tra i manifestanti di Istanbul e di Ankara?
«Ankara, in quanto capitale è diventata epicentro della violenza. La situazione lì è più grave, ogni sera ci sono scontri molto violenti, che non vengono ripresi dai media. I manifestanti di Ankara sono oppositori di partito, gruppi politicizzati che lottano contro il governo. A Istanbul invece nasce come questione ambientale, per poi trasformarsi in rivolta contro le azioni violente.
Erdogan ha finora sedato le velleità golpiste delle Forze armate, adesso ci si chiede quale sia la loro posizione.
«I militari si posizionano in maniera neutrale, non hanno un ruolo in questo momento. C'è stata disinformazione, perché alcuni giornali hanno scritto che i manifestanti vogliono il loro intervento. In realtà l'80% non vuole che le forze armate abbiano un ruolo.
Sotto impulso dell'Europa, Erdogan ha modernizzato il Paese. Ma oggi sembra allontanarlo da una prospettiva europeista. L'Ue può ridurre la crisi di fiducia nei rapporti tra Bruxelles e parte della società turca?
«Dagli ultimi sondaggi emerge che il 30% dei cittadini che era contrario all'entrata in Europa è rimasto tale, solo la percentuale di chi era favorevole è diminuita. È un problema di perdita di fiducia nei confronti nelle istituzioni europee, incapaci di fare azioni concrete. Il nostro è il governo più riformista, non abbiamo paura di diventare come l'Iran. Tutti parlano di diritti e democrazia, ma poi la Francia si oppone ai negoziati, manca onestà dall'Europa».
Misure come la proibizione degli alcolici hanno solo portata simbolica, senza reale
rischio di islamizzazione, oppure rappresentano un pericolo?«Non è un problema la proibizione degli alcolici, ma come questo provvedimento è stato fatto, cioè in maniera autoritaria e senza dare ascolto ai cittadini».
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