Kim gioca pesante: minacce ad ambasciate e missili sulle rampe

Quello di Kim Jong-un, il dittatore ragazzino della Corea del Nord che minaccia un delirante attacco nucleare ai suoi vicini e agli Stati Uniti, sarà anche un bluff ma viene condotto con maledetta serietà. Dopo l'escalation di minacce alla Corea del Sud per le sue manovre militari con gli americani, culminate nella formalizzazione di un non meglio precisato «stato di guerra» (che in realtà è in vigore ininterrottamente dal 1950), ieri Pyongyang ha compiuto altri passi minacciosi. Due missili a medio raggio di tipo Musudan, teoricamente in grado di raggiungere l'isola di Guam nell'Oceano Pacifico dove sorge una strategica base americana, sono stati posizionati su una rampa di lancio sulla costa orientale della Corea del Nord; poche ore dopo il governo comunista ha avvertito che le ambasciate straniere a Pyongyang dovranno prepararsi ad evacuare «in relazione al peggioramento della situazione nella penisola coreana».
Le minacce di tipo militare, che già avevano avuto come effetto principale il dispiegamento a Guam di un adeguato sistema antimissile americano, hanno spinto Seul a mettere in campo due navi con sistemi per intercettare missili: una vigilerà lungo le coste occidentali del Mar Giallo e una su quelle orientali del Mar del Giappone. Ma stanno anche accendendo preoccupazioni inedite, come quella espressa ieri addirittura dal premier britannico David Cameron, secondo il quale la Corea del Nord possiede «tecnologie estremamente pericolose in termini di armi e nucleare», in grado di lanciare un attacco atomico perfino contro la lontanissima Gran Bretagna.
Agli avvertimenti alle ambasciate straniere a Pyongyang, invece, le potenze del gruppo di contatto che segue da anni il problematico programma nucleare nordcoreano (Usa, Russia, Cina, Giappone e Corea del Sud) hanno reagito coordinandosi per decidere insieme se sia opportuno che i rappresentanti diplomatici abbandonino il Paese. Questo perché la Corea del Nord ha fatto sapere che «in caso di conflitto», dopo mercoledì 10 aprile la sicurezza delle ambasciate a Pyongyang «non sarà più garantita». Quanto all'Europa, ha tipicamente reagito in ordine sparso, con Londra che ha rinviato una decisione ai prossimi giorni preferendo consultarsi con i auoi alleati e Berlino che ha convocato l'ambasciatore nordocoreano per esprimere «inquietudine» ma anche che la Germania considera l'escalation avviata dal regime comunista del Nord «inaccettabile». Perfino l'archeologico fondatore della rivoluzione cubana Fidel Castro è tornato a farsi vivo, ponendo da par suo i presunti contendenti nordcoreani e statunitensi sullo stesso piano di responsabilità per la situazione che si è venuta a creare e invitando entrambi a fare quanto necessario per evitare un conflitto nucleare.
A cosa realmente punti Kim Jong-un scatenando un tale putiferio internazionale è la domanda che ci si pone in tutte le cancellerie.

Si parla di un rialzo della posta più alto che mai per arrivare a ottenere ciò che il suo regime affamatore del popolo ha in fondo sempre preteso dal resto del mondo: aiuti alimentari ed economici in cambio della fine almeno temporanea del ricatto militare; di una complessa partita interna al regime, che vedrebbe il giovane dittatore impegnato in una dura lotta con i generali attaccati ai loro privilegi e al loro consolidato potere; di un ancor più complesso gioco con l'alleato cinese, stanco di certi pericolosi eccessi coreani. Ma il vero obiettivo dell'azzardo sembra essere di alto profilo: minacciare l'America per ottenere di sedersi a un tavolo negoziale a due, superando quello multilaterale a sei in stallo ormai dal 2008.

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