L’ANALISI

È l’ex cancelliere Gerhard Schröder l’artefice della svolta del partito socialdemocratico tedesco (Spd) che ha portato al siluramento del presidente Kurt Beck e alla nomina dell’attuale ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier a sfidante designato dell’attuale cancelliera cristiano-democratica Angela Merkel. L’influente settimanale Der Spiegel dedica a questo retroscena politico la copertina del suo ultimo numero, con il titolo «Il ritorno di Schröder - Avanti verso il passato».
Secondo lo Spiegel Schröder - ufficialmente un pensionato della politica che dopo la sconfitta elettorale del 2005 ha accettato, suscitando reazioni anche scandalizzate, un lauto contratto di consulente del gigante russo dell’energia Gazprom - «non si è esposto in prima persona, ma ha consigliato Steinmeier», tirando i fili del riassetto di un partito in crisi profonda e allarmante.
L’ex cancelliere e Steinmeier hanno un’antica consuetudine comune, che risale ai tempi in cui Gerhard Schröder era il leader della Spd a Hannover, la sua città d’origine. Qui Steinmeier guidava il gabinetto del governo regionale e con lui fu capo della cancelleria a Berlino dal 1999 al 2005. Una coppia di ferro in perfetta sintonia, che continua evidentemente ancor oggi. «Frank-Walter Steinmeier ha la stoffa del cancelliere - ha scritto pochi giorni fa sulla rivista del partito Vorwärts il vecchio sodale Gerhard -. Sono fiero del mio partito che ha scelto con lui la persona migliore. Non vi è stato nessuno nella mia vita con cui ho collaborato in modo così stretto e affiatato - ha aggiunto -. In base a questa mia esperienza personale posso affermare che non solo la candidatura ma anche la poltrona di cancelliere sono in buone mani».
La linea suggerita da Schröder alla Spd guarda al centro dello schieramento politico, secondo il suo tradizionale percorso strategico che aveva portato ai (sofferti) successi elettorali del 1998 e del 2002. Ma la socialdemocrazia tedesca vive una fase di frattura interna sempre più evidente, conseguenza e causa al tempo stesso del calo del suo appeal sull’elettorato. Giovedì scorso, la tv pubblica Zdf ha ospitato in un talk-show una vivace puntata di questo psicodramma, nel corso della quale le due anime del partito si sono affrontate con tale durezza da far scrivere allo Spiegel che ormai la Spd «non è un partito, ma due».
C’è insomma chi guarda al centro, ma anche chi si orienta invece a sinistra, desideroso di rompere il tabù dell’alleanza con il partito di estrema sinistra Die Linke nato dalla fusione di una corrente operaista della Spd con la Pds, gli eredi dell’impresentabile Sed, il «partito del Muro» della Germania est asservita all’Urss. I sondaggi danno la Spd a un modesto 26%, in leggero recupero dopo l’arrivo di Steinmeier al vertice, ma la Cdu della Merkel la sovrasta con il suo 40% mentre la Linke dell’ex compagno Oskar Lafontaine si gode un solidissimo 11%.


Ma c’è già chi dice che Schröder, che non ha mai accettato compromessi con i postcomunisti, lancerà presto contro di loro una campagna per sottolineare la troppo ambigua coincidenza delle loro parole d’ordine con quelle della defunta Ddr. Il calendario aiuta: nel 2009, anno delle prossime elezioni, cade il 60° anniversario della fondazione della Ddr e il 20° della caduta del Muro di Berlino.

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