L'omicidio che indignò Obama? Così fu «trasformato» in razzista

Un vigilante sparò a Trayvon Martin. Il presidente disse: "Poteva essere mio figlio". L'ex capo della polizia svela: "Non c'erano prove ma mi ordinarono di arrestarlo"

L'omicidio che indignò Obama? Così fu «trasformato» in razzista

Scoppia una bomba inattesa nel caso dell'omicidio di Trayvon Martin, il diciassettenne nero americano che la sera del 26 febbraio 2012 fu ucciso da un vigilante a Sanford in Florida che poi si difese sostenendo di aver sparato per legittima difesa. Mentre George Zimmerman, l'aspirante poliziotto accusato di aver giocato con la vita di un ragazzo di colore per razzismo, è davanti al tribunale della cittadina dove avvenne il tragico fatto, l'ex capo della polizia locale ha dichiarato alla Cnn di aver perso il posto perché si era rifiutato di compiere un arresto anche senza prove convincenti.
«Uno dei commissari della città venne da me per due volte - ha raccontato Bill Lee davanti alle telecamere del famoso canale Tv di notizie h24 - e mi disse: “Tutto ciò che vogliamo è un arresto”. Io spiegai che non potevo arrestare qualcuno solo perché l'opinione pubblica era indignata, ma che erano necessarie delle prove convincenti. Ma mi fu ripetuto che un arresto era necessario, e che non gli importava se in seguito questa persona sarebbe stata rilasciata. Sono cose che non si fanno».
Lee sostiene che, dopo essersi rifiutato più volte di arrestare Zimmerman, perse il suo posto che occupava da soli dieci mesi. Gli fu detto che il suo rapporto di fiducia con il pubblico e con i rappresentanti eletti si era guastato. Ma Lee dice di essersi limitato a rispettare il suo giuramento e afferma che «anche se mi fa male», è contento «di aver conservato la mia integrità in questa storia».
Per capire le ragioni di tanta attenzione sugli sviluppi del caso Martin bisogna tornare a quei giorni di un anno e mezzo fa. Al clima che si creò quando si diffuse la notizia di un ragazzino nero disarmato e dal volto innocente (anche se poi uscirono di lui altre foto meno idilliache e si seppe che non era esattamente un angioletto) ucciso a freddo con un colpo di pistola da un vigilante razzista. Alla collera che raggiunse il suo apice nei disordini violenti in quartieri neri di diverse città americane, tra cui Washington. Alle molte iniziative che furono prese per sostenere la causa della giovanissima vittima, tra cui quella di una mostra di fotografie a lui intitolata per evidenziare che «le brave persone non sono necessariamente quelle che vanno in giro ben vestite».
L'intervento più autorevole sulla tragica fine di Trayvon Martin fu però sicuramente quello del presidente degli Stati Uniti. Barack Obama ne parlò in pubblico e trovò parole indignate e toccanti quando disse che se lui avesse avuto un figlio maschio Trayvon gli sarebbe di certo assomigliato. E chissà se Bill Lee pensa anche a questo quando riferisce di pressioni esercitate su di lui affinché venisse in un modo o nell'altro individuato un colpevole.
La questione delle presunte motivazioni razziste dell'uomo che uccise il ragazzo nero merita tra l'altro qualche considerazione. A dispetto del cognome, infatti, George Zimmerman appartiene a sua volta a una minoranza etnica, quella ispanica, oltre a essere ebreo per parte di padre. E il suo aspetto non particolarmente fine ha tra l'altro incoraggiato i suoi detrattori a parlarne in termini che è difficile non definire razzisti.
Intanto il processo a Zimmerman va avanti e l'accusa di aver agito per razzismo oltre che per cercarsi come distintivo un caso risolto a colpi di pistola pesa come un macigno sul vigilante. Il giudice Debra Nelson ha stabilito ieri che Zimmerman potrà essere giudicato non solo per omicidio volontario non premeditato (che comporta una pena fino all'ergastolo) ma anche per omicidio colposo, per il quale rischia fino a 30 anni. La difesa dell'omicida ha accusato il giudice di «aver agito con l'inganno», aprendo una nuova dura polemica.

Ma soprattutto insiste nell'affermare che il vigilante fu in realtà vittima di un'aggressione in un vicolo buio e che Trayvon gli era saltato sopra e gli stava sbattendo la testa contro l'asfalto quando partì il colpo fatale.

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