Sarebbe una specie di lista della vergogna. Per smascherare le aziende che assumono poco o niente fra le minoranze etniche e che quindi, per la proprietà transitiva sarebbero anche razziste. Una evoluzione delle quote rosa in «quote razza»: sottinteso, che la selezione del personale, se non equamente divisa fra donne e minoranze, sia necessariamente discriminatoria e non (eventualmente) meritocratica. Insomma un trionfo di politicamente corretto, che arriva dal partito che per tradizione più lo rifugge: i Tory.
Il fatto è che i Conservatori devono fare i conti con l'aumento del voto etnico, specialmente della popolazione di colore e asiatica. I calcoli sono semplici: il numero di britannici bianchi è sceso dal 91 all'86 per cento; sotto i cinque anni di età si arriva al 73 per cento. Alle ultime elezioni, i Tory hanno ottenuto solo il 16 per cento di voti fra la popolazione non bianca. Quindi il futuro del partito è più che mai nelle sfumature: se i Tory non riusciranno a conquistare le preferenze di neri e asiatici, il rischio (a lungo termine) è l'estinzione. O quantomeno una assenza prolungata dalla scena di governo. Ed è per questo che a una riunione di gabinetto il premier ha chiesto ai suoi ministri di inventarsi qualcosa: politiche, strategie, iniziative in grado di evitare il disastro. Cameron ha incaricato direttamente Alok Sharma, vice del partito e parlamentare di origine indiana, emblema dei nuovi Tory etnicamente corretti. E una delle prime idee venute a galla è proprio quella delle «quote razza».
È stato Sharma a spiegare al Times che dovrebbero funzionare un po' come le quote rosa, solo che ovviamente non si potranno imporre delle specie etnicamente protette nelle aziende e quindi sarà più che altro «un codice volontario», in realtà una forma di pressione esterna, perché non è una bella pubblicità, per una azienda, essere bollata come razzista (anche se su basi discutibili). La proposta - se passerà - prevede che le società quotate rendano noti i valori etnici del loro personale, sia di quello stabile, sia di quello assunto nell'ultimo anno. Una operazione di facciata: ma proprio l'intangibilità della sua possibile efficacia la dice lunga su quanto i Conservatori siano terrorizzati da quello che la stampa chiama «effetto etnico». La convinzione diffusa nel partito è che Mitt Romney abbia fallito perché non c'erano abbastanza bianchi a votarlo; il fatto è che Obama ha conquistato il voto nero in massa e tre quarti di quello ispanico. La paura di Cameron e dei suoi è di fare la fine di Romney e dei repubblicani, costretti a rincorrere i democratici fra l'elettorato non bianco. La demografia spaventa, le elezioni del 2015 sono vicine e Cameron ha fretta. Non basta che il numero di parlamentari non bianchi sia salito da due nel 2005 a undici: nell'immaginario questi undici non sono la prova che i Tory siano un partito dai valori condivisibili, bensì sono dei venduti al nemico. Anni di sospetti sono difficili da cancellare: il marchio Tory, semplicemente, presso le minoranze funziona pochissimo. Per il suo passato, la sua storia, più che per le sue politiche e i valori di oggi.
Il piano d'azione (spiega Rachel Sylvester sul Times) prevede: un gruppo di lavoro specifico, che si riunirà due volte al mese; frequentazioni costanti di chiese, templi e moschee da parte di ministri e parlamentari; costruzione di una rete di relazioni con le organizzazioni delle varie comunità; tentativo di conquista della stampa e delle televisioni legate a neri e asiatici. Fra i progetti e il successo ci sono decenni di distanza e di antipatia; oltre al rischio che la base tradizionale dell'elettorato conservatore non apprezzi la sintonia improvvisa con minoranze e immigrati.
Dobbiamo fermare l'immigrazione selvaggia verso l'europa... Abbiamo già visto in America che fine fanno quelli che subiscono l'immigrazione...