La Cina che non vuole rimanere indietro su niente, ora è concentrata su una nuova sfida: quella dei cervelli. Produrre non più solo parti di ricambio e magliette, giocattoli e vetture, ma laureati: giovani, preparati, pronti a competere con gli studenti americani, inglesi, giapponesi e tedeschi. Pronti a farsi assumere come manager, ingegneri, informatici, esperti di marketing, creativi dalle grandi società. Pronti a invadere il mercato del lavoro, non più solo dal basso, come manovalanza a costi inferiori, ma anche dall'alto, in quei posti al vertice che finora sono sempre rimasti nelle mani degli occidentali.
Il governo cinese affronta l'impresa a modo suo, cioè in stile piano quinquennale: un investimento da 250 miliardi di dollari l'anno che alla fine, entro il decennio, dovrebbe portare a 195 milioni di studenti usciti da college e università. Un esercito. Competitivo, agguerrito, voglioso di entrare nel mondo delle industrie e delle multinazionali del Nord America e dell'Europa. Oggi in Cina ci sono otto milioni di laureati l'anno e tre ragazzi su cinque ottengono un diploma delle superiori. Rispetto al '96, un progresso enorme: i diplomati erano solo uno su sei.
Ma - come spiega un lungo articolo dell'Herald Tribune dedicato al boom dei laureati made in China - anche i numeri di oggi sono, in proporzione, segno di arretratezza: sono le stesse percentuali che gli Stati Uniti avevano raggiunto a metà degli anni Cinquanta. Però le previsioni dicono che in sette anni la Cina colmerà il divario: recupererà oltre mezzo secolo e arriverà alle percentuali americane, settantacinque diciottenni su cento con il diploma di una high school. Nell'ultimo decennio i laureati sono quadruplicati, il numero di college e università è raddoppiato (2.409). Le cifre non dicono tutto, ma molto: una crescita senza sosta, una avanzata programmata come tutto il resto, come gli investimenti nei settori dell'energia, delle auto ibride, delle biotecnologie e dell'information technology. Aumentano anche gli studenti che vanno all'estero, spesso con borse di studio: l'anno scorso negli atenei americani si è raggiunto il record di presenze, 194mila, il triplo di cinque anni prima. Le multinazionali (General Motors, General Electric, Ibm, Intel) se ne sono accorte e hanno già assunto migliaia di laureati delle università della Repubblica Popolare. Che anche sul fronte delle infrastrutture non vuole essere da meno dei rivali americani e come produce studenti, allo stesso ritmo costruisce campus, biblioteche, dormitori, dipartimenti e aule avveniristiche.
L'unico fronte su cui i cinesi non riescano a tenere il passo è quello degli insegnanti: alla nuova Cina affamata di studio mancano professori, quelli giovani, motivati, innovatori, comunicativi. Quelli che servono per formare laureati brillanti e inventivi, non soltanto soldatini con voti eccellenti. Ci sono molti docenti alla prima cattedra, ce ne sono moltissimi alle soglie della pensione: ma i quarantenni con alle spalle una certa esperienza sono pochi (e quei pochi non sono attratti dagli stipendi bassi, meno di trecento dollari al mese). La Cina della rivoluzione universitaria li cerca disperatamente. Soprattutto cerca laureati e corsi di qualità: i numeri appunto sono molto, ma non tutto. Se gli studenti migliori vanno ancora in America a perfezionarsi, un motivo c'è. Ma la rincorsa è più che cominciata e il governo sa in quale direzione voglia muoversi: non soltanto produrre laureati, ma imprenditori di successo. Menti creative.
Menti che possano garantire un futuro all'economia del gigante cinese, anche quando i vantaggi della manodopera a basso costo finiranno: allora ci vorrà l'innovazione, e per l'innovazione ci vogliono cervelli preparati. Perciò la grande macchina si è messa in moto, a colpi di miliardi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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