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Merkel vara il salario minimo «A rischio un milione di posti»

BerlinoIl treno che ha perso la direzione e la locomotiva che va per i fatti suoi. Il primo è l'Europa meridionale, arenatasi sulle secche della crisi, la seconda è la Germania guidata da Angela Merkel e dai suoi alleati socialdemocratici. Ieri il Bundestag ha approvato a larga maggioranza il Mindestlohn, il disegno di legge sul salario minimo fortemente voluto dall'Spd. La settimana prossima anche il Senato (Bundesrat) darà luce verde al progetto: dopodiché dal 1° gennaio del 2015 i lavoratori non potranno guadagnare meno di 8,5 euro lordi l'ora.
«È una giornata storica», ha detto il vicecancelliere Sigmar Gabriel (Spd). Nessun entusiasmo, invece, da parte dei cristiano democratici (Cdu); favorevoli alla contrattazione libera, hanno votato «sì» solo per disciplina di partito. Il Mindestlohn è stato pattuito a inizio legislatura ma, come già il recente aumento delle pensioni, è farina del sacco socialdemocratico. Tant'è. Il reddito minimo riguarda circa 4 milioni di lavoratori, soprattutto autonomi e artigiani. Alle aziende di medie dimensioni la legge concede un anno di tempo per l'adeguamento salariale. Sono poi previste una sfilza di eccezioni che hanno fatto storcere il naso al sindacato.
Il Mindestlohn non si applica ai disoccupati di lungo corso, agli apprendisti nei primi sei mesi dall'assunzione, ai tirocini retribuiti, ai lavoratori minorenni e, fino al 1° gennaio del 2017, neppure agli stagionali o ai fattorini che consegnano i giornali. Strali contro il progetto sono stati lanciati dalle associazioni degli imprenditori secondo cui si rischia la perdita di un milione di posti di lavoro (per delocalizzazione all'estero) e l'aumento dell'inflazione. Alle imprese non piace neppure l'equiparazione fra il mercato del lavoro della ricca Baviera con quello per esempio del Brandeburgo o della Sassonia.
Dal canto loro, i fautori del reddito minimo sperano di aiutare i (tanti) numerosi nuovi poveri.
L'Istituto tedesco per la ricerca economica (Diw) indica che fra il 1999 e il 2013 il tasso di persone a rischio povertà è aumentato da meno del 10 a circa il 14%; nello stesso periodo la percentuale dei lavoratori definiti a basso reddito è salita al 20%, senza più scendere. Eppure negli ultimi 15 anni il tasso di disoccupazione è precipitato dall'11 al 5%. In altre parole dal 2000 la locomotiva d'Europa ha creato benessere e lavoro, ma anche una nuova classe di lavoratori poveri, sulla cui pelle le imprese hanno prosperato. La ricchezza non è stata distribuita mentre il dumping sociale (prodotti di qualità ottenuti a basso prezzo) favoriva la disoccupazione all'estero. Con la legge del reddito minimo, l'Spd cerca di mettere una pezza al danno causato in primis proprio dall'ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, campione di inizio millennio della guerra a tutti costi all'alta disoccupazione. L'inversione di marcia piace all'estero.
Da mesi l'Ue, l'Ocse e il Fondo monetario internazionale chiedono alla Germania tutta sbilanciata sull'export di favorire una crescita interna troppo fiacca. Resta un mistero invece perché Berlino continui a predicare per il resto dell'Europa la stessa ricetta a base di tagli e austerità che ha danneggiato i tedeschi per primi.

Non si capisce infatti come la deregulation sociale che ha nuociuto alla Germania in anni di crescita dovrebbe aiutare l'Italia o la Spagna a superare la crisi.

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