Dopo giorni di proteste, almeno 7 morti e 600 feriti, il presidente egiziano Mohamed Morsi ha ceduto e revocato il controverso decreto con cui si assegnava poteri assoluti. Questa era una delle richieste dell'opposizione per aprire il dialogo insieme al rinvio del referendum sulla Costituzione indetto per il 15 dicembre. Morsi ha confermato la data, ma ha però chiesto alle forze dell'opposizione di proporre modifiche al testo, anche se alla data prevista manca ormai meno di una settimana.
Dal 22 novembre, quando il primo leader eletto egiziano, Morsi, membro del movimento islamista dei Fratelli musulmani, ha firmato un decreto che allarga i suoi poteri presidenziali, l'opposizione laica e liberale era scesa in strada in protesta. E ieri anche i militari egiziani che avevano guidato l'Egitto del dopo Mubarak fino al voto sono tornati con una breve irruzione sulla scena politica mettendo in guardia gli attori della crisi in corso delle «conseguenze disastrose» che l'attuale situazione rischia di avere sul Paese. «Il dialogo», ha detto un portavoce dell'esercito, è la via migliore, «l'unica» capace di mettere fine alle tensioni, «qualsiasi altra soluzione ci porterà in un tunnel scuro, con conseguenze disastrose e noi non lo permetteremo».
Un funzionario dei Fratelli musulmani ha definito la dichiarazione dei militari «bilanciata» e «neutrale». E il passo indietro di Morsi sul decreto che gli dava poteri assoluti sembra essere la risposta concreta alla richiesta di dialogo.
La presa di posizione dell'esercito era arrivata poche ore dopo le indiscrezioni di Al Ahram. Il quotidiano governativo ha rivelato che il presidente Morsi era in procinto di firmare una legge che garantiva all'esercito - vista la difficile situazione della sicurezza - il diritto di procedere all'arresto di civili. Una mossa in odore di leggi marziali, triste ricordo dell'era dell'ex regime, quando il raìs Hosni Mubarak giustificava i poteri conferiti ai militari con il permanere della «minaccia islamista». Ma questa volta l'esercito, con una dichiarazione del suo portavoce, ha lanciato un avvertimento affinché si evitasse di spingere in campo le divise: «I militari si rendono conto della loro responsabilità nel mantenere l'interesse supremo della nazione e la sicurezza».
I manifestanti intanto sono tornati davanti al palazzo presidenziale di Heliopolis, un ricco quartiere residenziale lontano dal centro iconico di piazza Tahrir, simbolo della rivoluzione del gennaio 2011. Ieri sembrava fosse il giorno del compromesso mancato. Venerdì sera, in un discorso molto atteso dopo le morti di giovedì, il presidente Morsi ha parlato alla nazione. Le opposizioni speravano che il leader aprisse alle loro condizioni: la cancellazione del decreto del 22 novembre e la posticipazione del referendum costituzionale. Invece, hanno ascoltato il leader invitare al dialogo tra le parti, ma usare i vecchi toni della giunta militare e dell'ex raìs, accusando delle violenze nelle strade non identificati «infiltrati», «agenti provocatori», sostenitori prezzolati dell'ex regime. Lo stesso hanno fatto ieri la Guida suprema dei Fratelli musulmani, Mohammed Badei, e il suo potente numero due, Khairat El Shater. Mohammed ElBaradei, il Nobel per la Pace, tra i leader del fronte anti-Morsi, continuava invece a dire che non ci sarebbe stato dialogo se le richieste dell'opposizione non fossero state soddisfatte.
Ora, a sorpresa, sembra essersi sbloccata l'impasse che opponeva Morsi ai suoi avversari politici, forse per il timore di un
colpo di mano dei militari «vicini al popolo» nell'evitare che il Paese finisse nel baratro. «Il decreto costituzionale è annullato da subito», la comunicazione del governo egiziano. Forse il primo passo per un dialogo serio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.