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Nei Paesi islamici c'è chi dice no al Corano

Segnali di insofferenza contro la sharia: in Marocco un gruppo di attivisti si ribella al digiuno del ramadan, in Tunisia donne in piazza per i diritti

Nei Paesi islamici c'è chi dice no al Corano

In queste ore il mondo islamico celebra la festa di Aid El Fitr, che chiude il mese del digiuno sacro di Ramadan. Il digiuno è uno dei cinque pilastri dell'islam e nel mondo islamico non rispettarlo resta un tabù. In Paesi come Emirati Arabi, Kuwait, Arabia Saudita ci sono leggi che proibiscono di mangiare in pubblico durante i 30 giorni. In Egitto, dove alcuni ristoranti restano chiusi fino al tramonto, a luglio una fatwa - o editto religioso - contro il mangiare in pubblico ha fatto innervosire gli attivisti laici. In una cittadina del Marocco, alcuni giovani sono stati arrestati pochi giorni fa per aver mangiato e fumato di giorno per strada, andando contro l'articolo 222 del codice penale, che prevede sei mesi di carcere e una multa a chi non rispetta il Ramadan in pubblico. Nella maggior parte dei Paesi islamici, dove la religione ha un posto centrale nel tessuto sociale e anche nella vita politica, le iniziative in favore della laicità sono embrionali e isolate.

Il Marocco - regno governato da una monarca che si considera discendente diretto di Maometto e da un esecutivo guidato da un islamista - è tra i Paesi meno conservatori dell'area. E lì, quest'anno, c'è chi ha fatto prove di laicità durante Ramadan. Un migliaio di attivisti ha organizzato infatti iniziative contro l'interdizione di mangiare in pubblico durante il giorno: una inedita provocazione chiamata Masayminch, non digiuniamo, in dialetto marocchino. In Marocco il dibattito sulla laicità è aperto da anni. Lo stesso accade nella vicina Tunisia, già negli anni Sessanta all'avanguardia rispetto ai vicini musulmani nella secolarizzazione della società. Dopo la rivoluzione del 2011, con l'elezione di un governo islamista e l'aumento nelle strade di azioni violente da parte di gruppi musulmani radicali, nel Paese ci sono state manifestazioni in favore di uno Stato laico. Pochi giorni fa, centinaia di tunisine sono scese in strada per protestare contro la proposta di un articolo della nuova Costituzione - in stesura - in cui si parla di «complementarità» tra uomo e donna e non di uguaglianza tra i sessi. Le attiviste temono che la ratificazione di un tale articolo azzeri il Codice di Statuto personale del 1956, che in anticipo sui tempi annullava la poligamia, il ripudio e apriva al divorzio e al matrimonio civile.

Nelle battaglie dei laici nei Paesi islamici c'è da anni proprio quella per il matrimonio civile. In Libano, dove lo Stato conta ufficialmente 18 comunità religiose diverse, il problema va oltre la legge islamica. Non esistono nozze civili. E sono in aumento i matrimoni tra membri di diverse religioni, obbligati a prendere un aereo per potersi sposare davanti a un giudice, senza convertirsi. La destinazione principale è Cipro - meta anche di molti cittadini d'Israele, altro Stato della regione in cui non esiste il matrimonio civile. A Beirut - da cui nel 2011 sono partite verso Cipro 800 coppie - ci sono tour operator che si prendono cura di tutto il pacchetto, dall'hotel alle noie burocratiche e aumentano i giovani che scelgono di sposarsi civilmente nonostante siano della stessa religione.

In Egitto, Paese profondamente conservatore, una delle maggiori battaglie contro la presenza di leggi religiose nella società è stata combattuta dai Baha'i, religione nata nel XIX secolo in Persia. Nel 2009, dopo diversi procedimenti legali di fedeli Baha'i, il ministro dell'Interno egiziano ha decretato che anche membri delle «religioni non riconosciute» potevano avere documenti di identità. Sulla carta d'identità egiziana, infatti, compare la religione, ma i funzionari del ministero accettavano soltanto di inserire musulmani, cristiani ed ebrei. Per anni, i Baha'i hanno rifiutato questa categorizzazione. E non hanno ricevuto documenti, fondamentali per lavorare, avere accesso all'educazione, alle pensioni, alla sanità pubblica. Secondo Human Rights Watch, il ministero dell'Interno egiziano non seguiva soltanto la legge egiziana, ma la propria interpretazione della norma islamica, che impediva ai funzionari di rilasciare documenti anche ai musulmani convertiti al cristianesimo, considerati apostati dalla sharia.
Twitter: @rollascolari

 


Un gruppo di circa mille attivisti per la laicità ha sfidato il divieto di mangiare in pubblico durante il Ramadan, il mese della penitenza islamica

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