New York è pronta a un altro italiano sulla poltrona più bella

New York è pronta a un altro italiano sulla poltrona più bella

Il fatto è che siamo tutti un po' New Jersey. Dall'altra parte del fiume, a guardare e sognare l'altra sponda, più o meno da lontano. A volte in mezzo c'è un oceano intero, ma è uguale. Perché vale per tutti, appunto, tranne che per loro, gli abitanti di New York. Loro la Grande Mela la mordono ogni giorno, loro sono quelli dell'altra parte, della sponda più cool. La sponda delle sponde, il centro del mondo, semplicemente. E così li abbiamo visti votare, da quella parte lì, cinque distretti, i cinque borough: Manhattan, Brooklyn, Queens, Bronx, Staten Island. Hanno scelto il nuovo sindaco, il loro primo cittadino, che poi è come dire il primo cittadino del mondo, la poltrona da cui si guida la città che è l'orizzonte di tutte le altre, anche di quelle invidiose, anzi soprattutto di quelle.
Michael Bloomberg, che dal primo gennaio del 2014 lascerà il suo posto (vincitore annunciato il gigante ultraliberal e italoamericano Bill De Blasio, contro il repubblicano Joe Lhota), una volta rispose così a chi gli chiedeva perché non si candidasse alla Casa Bianca: «Perché faccio il sindaco di New York». E siccome insistevano, ma come, fare il presidente è il lavoro più bello del mondo, lui, il tredicesimo uomo più ricco del pianeta, si spiegò meglio: «Allora faccio il secondo lavoro più bello del mondo. E lo faccio a Manhattan». Come dire che perfino Pennsylvania avenue è il New Jersey, rispetto a City Hall. La specifica «lo faccio a Manhattan» è una smentita della concessione iniziale: sarà il secondo lavoro più bello, e più importante del mondo; ma in realtà no, è il primo, perché il mio ufficio è al centro di tutto. Economia, finanza, business, mass media, educazione. Perfino nella politica salutista e politically correct New York ha sopravanzato tutte le altre città. Se si parla di soldi, nessuno può reggere il confronto: da sola, la Grande Mela vale 1,2 miliardi di dollari di Pil, come la Spagna, più della Corea del Sud; però ha gli abitanti di una metropoli, otto milioni e duecentomila, quindi in proporzione vale molto di più, dieci volte l'Italia e tre volte e mezzo gli Stati Uniti. Sarebbe, sempre da sola, la quattordicesima economia mondiale; sarebbe nel G20. I newyorchesi non hanno solo scelto il loro sindaco: hanno eletto un capo di Stato. Se c'è qualcuno che ha già visto il sorpasso della Cina sull'America, nessuno si è mai sognato di togliere a New York il suo ruolo di centro del mondo, e non solo di quello occidentale: chi conosce il nome del sindaco di Pechino o di Shanghai? Tutti conoscono Bloomberg, tutti conoscevano Rudy Giuliani (nel 2007 si candidò alla presidenza, fallendo, con il solo curriculum di primo cittadino-eroe della città ferita dagli attacchi dell'11 settembre). Tutti conoscono pure Boris Johnson, il sindaco di Londra, che è l'unica città che possa pensare di competere con la Grande Mela quanto a centralità, ma non nei numeri. New York non è neanche una capitale, eppure conta oltre duecento rappresentanze diplomatiche. Wall Street è ancora il cuore della finanza. A New York ci sono oltre duecentomila aziende, più di cento università, la sede del giornale più importante del mondo, il New York Times.


Se non mangi la Mela, per quanto potente tu sia non puoi conquistare il mondo: lo sapeva Rupert Murdoch; lo sanno i Clinton, che da New York hanno ripreso le loro battaglie politiche, dall'elezione al Senato di Hillary alla scelta di un uomo del loro clan per guidarla, cioè De Blasio. Lo sanno tutti: se non passi da New York, resti sempre e comunque in New Jersey. A guardare da lontano.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica