«Siamo in guerra», dice David Cameron. Una guerra economica. Che giovedì, quando si aprirà il vertice europeo per decidere sull'aumento del bilancio, cioè su maggiori spese di contribuzione per i singoli Stati dell'Unione, potrebbe tradursi nell'ennesima guerra di Londra a Bruxelles.
Il premier parla davanti alla Cbi, la Confindustria britannica, e promette alla platea meno tasse per le imprese e meno burocrazia per rilanciare la crescita del Regno Unito. Basta con le consultazioni popolari lunghe tre mesi prima di varare nuove politiche, basta con le sfide legali collettive per fermare la costruzione di nuovi insediamenti edilizi. Il governo taglierà i tempi per dare il via libera a nuove linee ferroviare, strade e infrastrutture energetiche.
Ma la vera battaglia Cameron la combatterà giovedì, quando si presenterà al vertice europeo che deciderà per l'aumento tra il 5 e il 6,8% del bilancio europeo dei prossimi sette anni (2014-2020). È in quella sede che il leader conservatore dovrà assecondare il vento antieuropeista. Il capo del governo ha dovuto confrontarsi ieri anche con le indiscrezioni del Financial Times, secondo cui Bruxelles starebbe considerando una scorciatoia per togliersi dall'impasse: vagliare un budget alternativo che escluda il Regno Unito, abbia scadenza di un anno e possa perciò essere votato da una maggioranza qualificata. «Uno schiaffo» al Regno Unito, gridano gli europarlamentari ultranazionalisti dell'Ukip. «Se l'Unione è pronta ad agire unilateralmente e a escludere il secondo contribuente al bilancio, qual è il vantaggio di restare membri dell'Ue?», tuona Marta Andreasen.
A dare man forte a Cameron pensa il sindaco di Londra Boris Johnson.
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