
Scorre il sangue nel Sinai, con una puntualità raggelante. L'attentato al bus dei turisti sudcoreani, che ieri nei pressi del porto di Taba ha provocato la morte di 4 persone e il ferimento di altre 29 (15 sono gravi), era stato annunciato. Le intimidazioni portavano la firma dalla brigata jihadista Ansar Bait Al Maqdis, «i Sostenitori della Santa Casa» (intesa come Gerusalemme). Sono loro, i guerriglieri con la mimetica nera e il logo su cui campeggia minaccioso un AK-47, ad aver seminato morte e terrore al Cairo lo scorso 24 gennaio e che ora sono tornati alla carica con una nuova strage. Il gruppo viene dal Sinai, dispone di duemila uomini (molti dei quali libici, palestinesi e sudanesi) e ha ottenuto la benedizione del leader supremo di Al Qaida, Ayman Al Zawahiri, non a caso egiziano. «Siamo i più risoluti e determinati a portare a compimento il comando di Allah per fare la jihad contro i nemici e combatterli finché tutta la religione sarà quella islamica. Colpiremo ovunque, non crediate che le località frequentate dagli infedeli come come Nuweiba, Dahab e Taba siano al sicuro», aveva comunicato dopo gli attacchi al Cairo il leader Sayyed Imam Al Sharif, 63 anni, uno che si è fatto le ossa in Sudan, Pakistan e nello Yemen. Al Sharif ha preso il posto di Abu Suhaib, ucciso il 10 dicembre in uno scontro a fuoco con le truppe dell'esercito su una strada che porta alla località di Sheikh Zuweid (350 km a nord est del Cairo). Il nuovo comandante si considera figlio spirituale di Abd Al Salam Faraj, ritenuto tra gi ideologi della jihad moderna e giustiziato nel 1982 per il suo ruolo nell'assassinio di Sadat. Sulle modalità dell'attentato a Taba, uno dei punti più suggestivi del Mar Rosso al confine tra Egitto e Israele, le voci sono discordanti. Secondo il ministero degli Interni a causare l'esplosione sarebbe stato un missile. Per la polizia israeliana invece sarebbe stato un kamikaze. Per la prima volta dalla firma del trattato di pace tra Egitto ed Israele, nel 1978, i due governi hanno deciso di chiudere la frontiera di Taba.
L'unico aspetto inconfutabile è l'operato di Al Qaida, che in Egitto viene ormai considerato braccio armato dei Fratelli musulmani. Le ambizioni della brigata jihadista sono racchiuse nel desiderio di secessione del Sinai dall'Egitto, per farne un califfato assieme alla Palestina «liberata» dagli ebrei. Un sogno messo nel cassetto con l'elezione di Morsi, che aveva promesso di sostenere economicamente la regione, stemperando le velleità separatiste. Il generale Fattah Al Sisi sulla vicenda ha fornito un'altra spiegazione, rivelando che Morsi stava cedendo il Sinai, con tanto di brigata del terrore, a Hamas palestinese per offrire al partito di Khaled Meshaal un supporto di uomini e mezzi e minacciare Israele e di rimbalzo l'Egitto con maggior efficacia. Nel frattempo il Sinai è diventato un territorio fertile di radicalizzazione islamica e di desiderio di vendetta contro il centralismo del Cairo, soprattutto ora che è tornato laico e verrà probabilmente guidato da Al Sisi (visto come la reincarnazione dei vari Sadat e Mubarak). L'attentato all'autobus non a caso è avvenuto a pochi giorni di distanza dalla candidatura del generale alla presidenza. Al Sisi l'aveva annunciata al quotidiano kuwaitiano Al Seyassah, salvo poi smentire i contenuti dell'intervista, più che altro per ragioni di sicurezza. Senza dimenticare che proprio ieri si è aperto al Cairo il terzo processo all'ex presidente deposto Morsi.