L'India ci dichiara guerra. Non è una battuta né una provocazione. Impedire a un ambasciatore la libertà di movimento, cioè sequestrarlo di fatto, significa violare scientemente la Convenzione di Vienna sull'immunità diplomatica e quindi compiere un atto di guerra contro la nazione che rappresenta. Cioè l'Italia.
Certo, l'India non è nuova a questi sgradevoli comportamenti, i nostri marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, imprigionati illegalmente, lo hanno scoperto a proprie spese. Possiamo dimenticare il tranello con il quale le autorità indiane hanno attirato nel porto di Kochi la nave Enrica Lexie il 15 febbraio dello scorso anno? E la violazione della nostra sovranità fatta dalla polizia indiana che è salita a bordo della nave italiana e ha arrestato con la forza i due fucilieri di Marina? Per non parlare del processo farsa nel Kerala, dove i giudici hanno impedito l'autopsia sui cadaveri dei due pescatori, non hanno permesso ai periti della difesa di partecipare all'esame balistico e, soprattutto, hanno ignorato i tracciati radar e satellitari affermando falsamente che la nave era in acque territoriali. «Chissenefrega del diritto» è stato il primo verdetto della giustizia indiana, che ha trascinato il nostro Paese e i nostri militari in un'odissea giudiziaria incredibile.
D'accordo, dopo tredici mesi la Corte Suprema ha riconosciuto che la Enrica Lexie non era in acque territoriali ma a 20,5 miglia dalla costa (in acque contigue dove l'India è legittimata a intervenire solo per questioni doganali o d'immigrazione), ma ha deciso di processare comunque i due fucilieri del San Marco a New Delhi. Alla faccia della convenzione Onu sul diritto del mare e dell'immunità giurisdizionale. Insomma, si sono fatti beffe di noi. E pare che ne abbiano pure goduto.
È vero, come sottolineano in molti, che l'Italia non ha onorato i patti sul rientro dei marò in India dopo il permesso. Ma tutto ciò non legittima atti di forza unilaterali, come il sequestro del nostro ambasciatore. Così si comportano i pirati somali e sembra che gli indiani stiano seguendo il loro esempio. E allora che senso ha invocare il rispetto delle regole quando la controparte ne ha fatto strame dal primo momento e continua a farlo?
Ora aspettiamo i nostri amici europei. Non perché gli abbiamo coinvolti noi, no. È stata New Delhi, che ha convocato l'ambasciatore dell'Unione Europea per cercare una sponda nella controversia sui marò. Il solo fatto che tenti questa strada ci fa capire quanto sia arrogante il paese asiatico, che cerca subdolamente di rovesciare la frittata in casa nostra. Ci auguriamo che l'Europa, tenutasi sempre ben alla larga dal contenzioso nonostante crei un grave precedente, non abbia tentennamenti sul caso.
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