Il record di Blair: un milione per tre ore di lavoro

L'ex premier ha mediato (con successo) in una trattativa finanziaria

Tony Blair
Tony Blair

Del resto l'operazione era data per fallita, e in ballo c'erano 60 miliardi di euro. Ma per la sua mediazione nell'affare Glencore-Xstrata (la prima, multinazionale che sarebbe interessata anche ad Alcoa dovrebbe acquisire il secondo, colosso minerario) Tony Blair è stato pagato una cifra record: un milione per tre ore di lavoro. Venerdì mattina, poco prima del voto degli azionisti di Xstrata in Svizzera, l'ex premier britannico è riuscito a fare incontrare Ivan Glasenberg, proprietario di Glencore e il primo ministro del Qatar Sheik Hamad bin jassim bin Jabr Al Thani (il fondo sovrano dell'Emirato possiede il 12 per cento di Xstrata): e le sue parole forse valgono davvero tanti soldi quanto sono pagate, visto che poche ore dopo, improvvisamente, le parti si sono riavvicinate; anche se la fusione ancora non s'è fatta.
Così Blair si è guadagnato elogi come mediatore doc, ma soprattutto quel bonus da un milione di euro rivelato dal Sunday Times, in pratica trecentotrentamila euro l'ora, cinquemila e cinquecento euro al minuto. Niente male, anche per lui che da quando ha lasciato Downing Street nel 2007 è diventato una macchina da soldi, in media venticinque milioni l'anno fra consulenze e conferenze (lo pagano duecentomila euro a volta). Non ci sono numeri ufficiali, anzi il segreto dei suoi incassi è sempre oggetto di critica, ma pare che il suo patrimonio oscilli fra i venti e i 60 milioni. Solo le proprietà immobiliari, villa in campagna nel Buckinghamshire, casa nel centro di Londra, appartamenti a Bristol varrebbero intorno ai quattordici milioni. Ha lasciato il suo trono con scorno e da allora Tony Blair sorride come pochi, tutto ciò che tocca diventa oro: ha pubblicato il suo libro di memorie, A Journey (Un viaggio)? È vero che quando l'autobiografia è uscita il pubblico era ancora pieno di astio nei suoi confronti, ma intanto ha incassato cinque milioni di euro. Questi milioni però Blair li ha donati in beneficenza, lui che ha due charity all'attivo, una fondazione per l'Africa e una per la fede, tutte gestite nello stesso meraviglioso palazzo in stile georgiano che la «Blair Inc» (come è soprannominata l'azienda-Tony) occupa in Grosvenor square, proprio accanto all'ambasciata americana, in pieno centro a Londra.
Lì, su cinque piani c'è anche la Tony Blair Associates, società di consulenza finanziaria che ha avuto come suo primo cliente il Kuwait: non, per dire, un emiro o un parente, ma proprio lo stato intero, che si è affidato all'ex premier per consigli su come gestirsi, pare per 33 milioni, una cifra astronomica sempre definita «esagerata» dallo staff dell'ex leader laburista. Il quale in una intervista sul Financial Times prima dell'estate, oltre ad annunciare che gli piacerebbe tornare in politica perché avrebbe qualcosa da dire ha tenuto a specificare che non è affatto uno «straricco», come si tende a dipingerlo. Anzi, non è nemmeno interessato ai soldi.

E in effetti, come inviato del Quartetto per la pace in Medio oriente (dove le sue doti di mediatore doc vengono messe a dura prova) non si fa nemmeno pagare. Anche se i suoi rimborsi spese per viaggi e affitto di un intero piano di suite dell'American Colony a Gerusalemme pare abbiano prosciugato le casse del Quartetto.

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