Gli afghani hanno votato in massa il nuovo presidente nonostante le minacce dei talebani, che non sono riusciti a far saltare le elezioni.
Uno dei tre candidati favoriti, Zalmai Rassoul, è un amico dell'Italia dove ha vissuto per anni al fianco dell'ultimo re afgano Zahir Shah in esilio a Roma. Per la Nato, compreso il nostro contingente ridotto a 1500 uomini, inizia il conto alla rovescia del ritiro definitivo a fine anno. E bisognerà chiedersi se dopo 53 morti, qualche centinaio di feriti e cinque miliardi di euro ne valeva la pena. Soprattutto se rischiamo di restare con un pugno di mosche in mano dal punto di vista non solo economico e di investimenti per il futuro.
Ieri circa 7 milioni di elettori sui 12 che ne avevano diritto si sono recati alle urne rispetto ai 4 del 2009 quanto era stato rieletto il capo dello Stato in carica Hamid Karzai. Un migliaio di seggi sono rimasti chiusi per motivi di sicurezza, ma gli afghani a cominciare dalle donne sotto il burqa in coda per votare, hanno stupito gli osservatori. A tal punto che in numerosi seggi le schede elettorali per scegliere fra gli 8 candidati presidenziali ed il rinnovo di 34 consigli provinciali sono finite scatenando proteste. Non a caso la chiusura del voto è stata rimandata di un'ora per permettere alla gente ancora in fila di votare.
I talebani hanno circondato un seggio e attaccato altri provocando una decina di morti. Bazzecole tenendo conto che l'Afghanistan non è la Svizzera e per la prima volta duecentomila uomini dell'esercito e della polizia di Kabul garantivano da soli la sicurezza.
I risultati ufficiali arriveranno dopo il 20 aprile ed il probabile ballottaggio dovrebbe tenersi il 28 maggio. Tra i tre favoriti c'è un amico dell'Italia, Zalmai Rassoul, ex ministro degli Esteri di Kabul, che conosce la nostra lingua. Da giovane, negli anni Sessanta, faceva la spola fra gli studi a Parigi e Roma dove il padre era ambasciatore della monarchia afghana. Dal 1998 al 2001 è stato al fianco dell'ultimo re, Zahir Shah, in esilio nella città eterna. Se vincerà, l'Italia avrà un alleato a Kabul nel raccogliere i frutti di oltre dieci anni di duro intervento militare. Per ora abbiamo solo speso un mucchio di soldi. Il Prt, Centro di ricostruzione provinciale in mano ai militari, ha chiuso i battenti a Herat il 25 marzo. Nell'Afghanistan occidentale la Difesa ha investito 46,5 milioni di euro per opere civili come scuole, il nuovo carcere femminile e strutture sanitarie. Per l'Afghanistan la Cooperazione allo sviluppo ha stanziato in sette anni 440 milioni di euro. Adesso si occuperà di rimettere in sesto la strada Herat-Kabul, la circonvallazione e le piste dell'aeroporto. Per l'arteria dalla capitale a Bamyan siamo impantanati con costi lievitati a dismisura. Del gasdotto dal Turkmenistan al Pakistan che doveva coinvolgere grosse aziende italiane non si sa più nulla. In compenso il 2 aprile la Farnesina ha annunciato l'avvio di un progetto di cooperazione fra Italia e Afghanistan per il marmo di Herat.
Briciole rispetto alle grandi risorse minerarie ed energetiche tutte da sfruttare che vedono in prima fila i cinesi e all'orizzonte addirittura ai russi.
Non solo: nell'Afghanistan occidentale, che confina con l'Iran, rischiamo che Teheran si mangi la torta. Gli ayatollah hanno stretto un patto con l'India, non proprio nostra amica dopo il caso marò, di penetrazione politica ed economica che rischia di tagliarci fuori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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