«Consideriamo il regime siriano come una visibile ed imminente minaccia per la nostra sicurezza» esordisce l'ambasciatore turco in Italia, Hakki Akil, intervenendo ad un convegno fra i monti di Trento. Dopo l'abbattimento da parte della contraerea siriana di un caccia di Ankara il diplomatico non usa giri di parole: «La Turchia risponderà all'attacco. I tempi, il luogo e i metodi saranno determinati dalle nostre autorità». Non è una dichiarazione di guerra, ma i toni del diplomatico sono inflessibili al convegno di geopolitica organizzato nel fine settimana in Valsugana dal centro studi Vox Populi. Poche ore dopo i caccia F 16 turchi si sono alzati in volo per intercettare degli elicotteri siriani, che poi non hanno osato sconfinare.
Nell'intervista a il Giornale, l'ambasciatore Akil spiega quanto siano forti i venti di guerra provocati dalla crisi siriana.
Perché il vostro caccia è stato abbattuto?
«Si trattava di un velivolo disarmato in missione di addestramento nello spazio aereo internazionale per testare il nostro sistema radar. Per cinque minuti ha violato lo spazio aereo siriano, ma è stato richiamato dal comando. I piloti sono tornati indietro e dopo 15 minuti dalla violazione la contraerea siriana ha abbattuto il velivolo con un missile, quando si trovava nello spazio aereo internazionale. È stata una provocazione, un'aggressione diretta alla Turchia».
Però avete violato lo spazio aereo siriano...
«Nei primi sei mesi del 2012 sono state registrate oltre cento violazioni dello spazio aereo turco da parte di tutti i nostri vicini e non abbiamo mai lanciato un missile. I siriani sono penetrati nel nostro spazio aereo 5 volte con gli elicotteri e non li abbiamo abbattuti. Le regole internazionali prevedono di inviare degli avvertimenti via radio ai trasgressori e poi di intercettarli con i caccia per scortarli fuori dallo spazio nazionale. Non certo di abbatterli».
Reagirete come ha annunciato nel suo intervento?
«Dopo questo attacco consideriamo la Siria una minaccia diretta per la Turchia. Non rimarremo in silenzio. Come il premier turco ha annunciato risponderemo all'attacco, ma saremo noi a scegliere i tempi, i luoghi e i metodi».
Sta annunciando una rappresaglia?
«Non parlerei di rappresaglia, ma non possiamo far finta di niente. Sottolineo che le regole d'ingaggio sul confine sono cambiate. Ora consideriamo la forze armate siriane, che si avvicinano alla frontiera, una minaccia diretta».
Se ci sarà un'emergenza umanitaria chiederete aiuto agli alleati, compresa l'Italia?
«Stiamo ospitando 35mila profughi e con l'escalation del conflitto arrivano ogni giorno dai 200 ai 500 nuovi rifugiati dalla Siria. Fino ad oggi abbiamo speso oltre 200 milioni di dollari per aiutarli. Per ora siamo riusciti a gestire l'emergenza, ma se il numero esplodesse a 100 o 200mila persone è probabile che chiederemo un contributo finanziario ai nostri alleati, ma pure aiuti sanitari e personale medico».
Damasco vi accusa di appoggiare l'Esercito dei disertori siriani e di far passare le armi per i ribelli...
«All'inizio abbiamo cercato di convincere Assad ad avviare la democratizzazione. Poi ci siamo trovati davanti a un bivio: appoggiare il regime oppure le aspettative della gente. Come abbiamo fatto in Tunisia, Egitto e Libia abbiamo scelto il popolo. Questo non significa che armiamo l'opposizione. Il nostro appoggio è politico, di aiuto ai profughi e medico per i feriti che arrivano in Turchia».
L'opposizione armata in Siria sembra frammentata e non mancano gli estremisti. Non è preoccupato che gente stile al Qaida monopolizzi la rivolta?
«È vero che ci sono diversi gruppi combattenti, ma in gran parte sono unificati nell'Esercito libero siriano. La Turchia punta su un'opposizione che rappresenti tutta la popolazione, compresi i cristiani».
I piani di pace arrancano come si è visto alla conferenza internazionale di sabato a Ginevra. Possibile che non ci sia una via di uscita?
«Fino a quando Assad resterà al potere non si troverà alcuna soluzione».
Non teme lo scoppio di una paurosa guerra regionale?
«Sarebbe una disgrazia per tutte le popolazioni dell'area dall'Iraq alla Giordania, non solo per noi turchi. La priorità è risolvere il problema siriano ed evitare un'escalation regionale».
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