Terzi, il marchese americano che ora sui marò fa l’indiano

Dalle nobili origini alla diplomazia, l’ex ambasciatore regista dell’operazione Fini in Israele si è impantanato sui militari in cella. Quando si arrabbiò con Alemanno

Terzi, il marchese americano  che ora sui marò fa l’indiano

Con l’ingresso nel governo del marchese Giulio Terzi di Sant’Agata, abbiamo perso un eccellente ambasciatore per avere un modesto ministro degli Esteri. Lo scapito è irrimediabile. Primo, perché Terzi non sarà mai più ambasciatore poiché l’anno venturo avrà 67 anni e andrà in pensione. Secondo, perché per un anno ancora ci starà sulla groppa come ministro e, se tanto mi dà tanto, non c’è da stare allegri.

Pesa come un macigno la storia dei due marò in India. Sono in galera da oltre tre mesi e nessuno sa quando finirà. Tutto è poco chiaro, per la solita astuzia italiana. Incerte le regole di ingaggio della missione antipiratesca per colpa della Difesa. Oscura la dinamica - hanno o no ucciso i due pescatori? - per melina collettiva del governo. È invece tutta farina del ministro marchese l’arrendevolezza da stuoino con i maragià indiani. Schiaffi li prendiamo da tutti, ma stavolta è lo zenit.
Dopo l’arresto dei due fucilieri, il 28 febbraio Terzi è andato in India. La visita era già in programma. Uno con più grinta avrebbe però messo l’aut aut: o mi garantite che tornerò con i marò o non vengo. Oppure, se decidi di andare comunque, non vai - come ha fatto Terzi - a trovare i due prigionieri senza la certezza di riprenderli. Non entri nei luoghi di detenzione - con ciò avallandola - e poi dichiari sorridente: «Mangiano spaghetti e sono trattati bene». Ohoo, egregio Terzi di Sant’Agata, c’è poco da fare il diplomatico. Due suoi connazionali in divisa sono al gabbio in un Paese «amico» e a rischio di condanna pluridecennale (se non peggio) per avere obbedito agli ordini del governo di cui lei è parte. È enorme. Non ricordo precedenti. Lei è troppo fiacco, inerte e rassegnato. In una parola, inadatto. Pur di non battere i pugni, sfodera un ottimismo ridicolo. A ogni notizia dall’India - sempre pessime finora - lei ripete a pappagallo: «È il primo passo per una positiva soluzione della vicenda». Mesi di primi passi farebbero venire l’orticaria a un ippopotamo e lei, a furia di dirlo, fa la figura di chi, non sapendo a che santo votarsi, tranquillizza se stesso.
Non è nemmeno bello che cerchi di mimetizzarsi in questa infelice vicenda mandando allo sbaraglio il sottosegretario De Mistura mentre, se le cose filano lisce come con i due connazionali liberati dai maoisti indiani, si pavoneggi gorgogliante sotto i riflettori. «Tutto il team dell’ambasciata e del consolato ha lavorato per questo grande risultato», disse trionfante quando furono rilasciati. Bene, ma ora che ha salvato due turisti spericolati, che sta facendo per i soldati? E proprio adesso ritira l’ambasciatore? La manfrina si fa all’inizio, ora è il tempo dell’azione. Sorvolo su Rossella Urru, ai ceppi da qualche parte nel Maghreb e sui qui pro quo con gli inglesi, nel blitz in cui è morto l’italiano, Franco Lamolinara. Tirando le somme: un pianto.
Di famiglia marchionale, Giulio Terzi è nato a Tresolzio, in quel di Bergamo. Vagì nel castello avito sulle rive del Brembo, andando a scuola a Lodi dai Padri Barnabiti e al liceo classico del Collegio Vescovile di Bergamo. Dopo la laurea in Legge alla Statale di Milano, Terzi di Sant’Agata disse a se stesso: «Ho due, quasi tre cognomi. Vorrà pur dire qualcosa». E scelse la diplomazia. I tre cognomi sono un marchio della Farnesina. Ci sono ovviamente anche ambasciatori normonomati, ma vuoi mettere con i Terzi di Sant’Agata, gli Adorni Braccesi Chiassi, i Visconti di Modrone, i Buccino Grimaldi, gli Estense di Castelvecchio, i De Martino di Montegiordano?
Del farnesiano, Giulio ha anche le fattezze. Alto e distinto, naso di razza, chevalière al mignolo. Già giovanissimo incuteva rispetto. Per esercitarsi in vista del concorso, andava da un’insegnante di francese nella Bergamasca. Come racconta il figlio della signora, il collega Mauro Suttora, fanciulletto all’epoca, quando Terzi giungeva, la mamma ammoniva: «Bambini, non urlate. Arriva il marchese».
A 27 anni, nel 1973, Terzi vinse il concorso e si trasferì a Roma. A dare slancio alla sua carriera, fu l’incontro con l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, leggenda della Farnesina. Siciliano, oggi ultraottantenne, Fulci era soprannominato «canne mozze» per la determinazione. Fu lui che bloccò la cooptazione della Germania e di altre nazioni, tra cui l’India (che i marò siano una ripicca?), al seggio permanente all’Onu, giacché l’Italia ne era esclusa.
Terzi ha lavorato con «canne mozze» due volte, in Canada e a New York (Onu). Quella di Fulci era una scuola con riti propri. Chi stava con lui era in una botte di ferro purché fosse un soldatino. Il lunedì, Fulci dava dei compiti: a, b, c. Il sabato esigeva il rendiconto. Giulio è il prodotto riuscito di questo magistero: funzionario efficace ma poco addestrato a fronteggiare l’imprevisto. Ne paga lo scotto oggi che è in politica.
L’altra esperienza clou fu, da ambasciatore in Israele (2002-2004), la preparazione del viaggio a Gerusalemme di Gianfry Fini, allora vicepresidente del Consiglio. Amico dell’aennino, Mirko Termaglia, bergamasco anche lui, che si era tanto raccomandato, Terzi si mise di punta per fare digerire un nativo neofascista ai superstiti della Shoah. La cosa, come si sa, andò benissimo. Fini fece mea culpa, mise la kippah e si innamorò di Israele. Terzi entrò nelle sue grazie e, se oggi è ministro, lo deve a lui che ne è stato il principale mallevadore.
Dopo Fini, fu di moda tra gli ex missini pellegrinare in Terrasanta. Tra i primi - con Terzi ancora ambasciatore - Gianni Alemanno, allora ministro dell’Agricoltura. Per non essere pedissequo, Gianni pensò a qualcosa di originale: donare cinquecentomila euro alla fondazione Peres (Shimon Peres, l’attuale capo dello Stato, ultimo grande d’Israele) per programmi agricoli congiunti israelo-palestinesi. Peres accettò entusiasta. Quando Alemanno giunse a Tel Aviv, Terzi - all’oscuro di tutto - voleva portarlo dal suo omologo con cui aveva preparato un incontro. «Ho un impegno», replicò Alemanno e andò da Peres. Il ministro israeliano, offeso, fece una scenata. Terzi si incupì. «È la diplomazia dei dilettanti. In fumo anni di lavoro», esagerò. La sera però i tg, d’Italia e Israele, riferirono enfatici l’incontro tra l’emergente Alemanno e il grande Peres. Terzi si unì svelto al coro e disse all’incirca: «È il frutto del nostro intenso lavoro e dei giusti rapporti intessuti...».
L’ultimo incarico prima del governo, l’ambasciata di Washington (2009-2011), gli ha procurato una piccola amarezza. Sui sessanta, Giulio si è separato dalla moglie, Gianna Gori. Negli Usa era con la nuova fiamma, Antonella Cinque, da cui ha avuto due gemelli, oggi di quattro anni. Indispettita, la signora Gori spedì una lettera circolare a Quirinale, Palazzo Chigi, ecc. per denunciare che il marito «spacciava un’altra donna» come «moglie dell’ambasciatore». Scandaletto da nulla che però ha innescato nel nostro Giulio una frenesia querelatrice.

Prima ha denunciato l’ex moglie, poi Dagospia per avere scritto che la coppia ordinale-cardinale, Terzi-Cinque, vive a Roma in una dimora di favore, poi il Fatto per avere detto che il ministro ha contese col Fisco. Ha graziato solo Panorama che ha pubblicato la foto dell’auto blu del ministro che porta i gemelli al nido.
A noi, non resta che chiederci come abbia la testa per queste cretinate con i tanti buchi che deve tappare.

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