In poche ore la sentenza ha aperto più di una crisi diplomatica. Dopo cinque mesi di processo, un tribunale egiziano ha condannato tre giornalisti di Al Jazeera a pene da sette a dieci anni di carcere, tra l'indiganzione delle organizzazioni per i diritti umani e dei governi stranieri. Sono stati giudicati colpevoli di aver diffuso false notizie e di aver favorito i Fratelli musulmani. Dopo la deposizione dell'ex presidente egiziano islamista Mohammed Morsi, le autorità - guidate dalle direttive di un esercito sempre più al centro della vita politica del Paese - hanno accelerato la repressione contro i membri del gruppo e dichiarato «terrorista» e «fuorilegge» la Fratellanza. I reporter condannati ieri al Cairo sono professionisti della notizia con una lunga e riconosciuta carriera alle spalle, che si sono ritrovati nel mezzo di una lotta politica tra l'Egitto della controrivoluzione e il Qatar, governo che ha appoggiato i Fratelli musulmani e che è anche sede e origine di Al Jazeera.
L'australiano Peter Greste ha lavorato per la Bbc e ottenuto riconoscimenti per il suo lavoro in Somalia. Mohammed Fahmy, cittadino egiziano e canadese, è un ex giornalista della Cnn e del New York Times, con nessuna affiliazione con la Fratellanza. Sono stati arrestati dopo la chiusura da parte delle autorità egiziane degli uffici di corrispondenza di Al Jazeera mentre lavoravano in una stanza dell'hotel Marriott del Cairo, uno dei luoghi più frequentati dai reporter stranieri. I giornali di Stato hanno parlato per mesi della «cellula del Marriott». Il terzo giornalista, Baher Mohamed, è stato condannato a tre anni in più perché nel suo appartamento è stato trovato un bossolo esploso, raccolto come souvenir a una manifestazione. Altri quindici giornalisti, tra cui due britannici e una olandese, sono stati condannati a dieci anni in contumacia. Amnesty International ha parlato ieri di «feroce attacco alla libertà di stampa, una giornata nera per l'Egitto», di un processo «pieno di irregolarità» in cui non è stata fornita dall'accusa alcuna prova concreta che colleghi i giornalisti a «un'organizzazione terroristica». Il processo dei tre ha sollevato una campagna di solidarietà ovunque. Soltanto domenica, il New York Times ha pubblicato una pagina bianca con la scritta: «Questo è quello che accade quando si silenziano i giornalisti».
La presenza tra i condannati di alcuni cittadini stranieri ha subito aperto crisi diplomatiche. L'Olanda ha richiamato l'ambasciatore dal Cairo. Il ministro degli Esteri britannico William Hague ha convocato i diplomatici egiziani al Foreign Office e l'ufficio di David Cameron ha fatto sapere che il premier «è completamente sconvolto». «Siamo sbigottiti», ha detto il ministro degli Esteri australiano Julie Bishop: nel week end il premier Tony Abbott ha parlato con il neo presidente Abdel Fattah Al Sisi. Le famiglie dei giornalisti speravano che il generale, dopo le elezioni, avrebbe fatto un gesto d'apertura. Per molti governi, questo processo rappresentava una prova sull'impegno del nuovo regime sulla difesa dello stato di diritto.
Le condanne di ieri, scrive il New York Times, rischiano di creare particolare imbarazzo all'Amministrazione Obama.
Proprio domenica il segretario di Stato John Kerry - in un tour per solidificare le alleanze e arginare la nuova instabilità irachena - era al Cairo dove ha dichiarato che il presidente Sisi gli «ha dato un senso di impegno molto forte» sulla valorizzazione «della legislazione per i diritti umani» e «i processi giudiziari» e di avere fiducia nella ripresa degli aiuti per 1,3 miliardi di dollari ai militari egiziani, sospesi in parte dopo i violenti eventi della scorsa estate. Meno di 24 ore dopo, Kerry è stato costretto ad alzare il telefono e chiamare il Cairo per trasmettere «la seria disapprovazione» degli Stati Uniti per una condanna «agghiacciante e draconiana».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.