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In tutto il mondo è caccia all’americano

Al Qaida: "Uccidete i diplomatici". Scontri in tutto il mondo, da Parigi a Sydney. Alta tensione negli Stati uniti. Obama: "Via familiari e staff non indispensabile da Tunisia e Sudan"

In tutto il mondo è caccia all’americano

Nel giorno in cui il Consiglio di sicurezza dell’Onu condanna gli attacchi contro ambasciate e consolati degli Stati membri, la protesta più o meno spontanea contro il film su Maometto tracima dai Paesi islamici. E in tutto il mondo fa scattare l’allarme attorno alle sedi diplomatiche di Stati Uniti e Paesi alleati-per l’Italia lo ha confermato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi-nonché a quelle delle aziende simbolo dell’Occidente, McDonald’s in testa. E il Dipartimento di Stato Usa ha ammesso di non poter garantire la sicurezza delle ambasciate di Tunisi e Khartoum: «Le famiglie e il personale non essenziale devono lasciare Tunisia e Sudan».

Anche ieri proteste antiamericane si sono svolte a Parigi, dove ci sono stati scontri e la polizia ha fer­mato un centinaio di persone, in Palestina, nel Kasmir indiano, in Indonesia e a Sydney, dove le forze dell’ordine hanno disperso i manifestati con cariche e lacrimogeni. Per cercare di limitare i danni buttano acqua sul fuoco il gran muftì dell’Arabia Saudita, che ha definito «anti-islamici» gli assalti alle ambasciate occidentali, e il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, che ha invitato i seguaci del Profeta a non rispondere alle provocazioni. E il presidente del Consiglio musulmano di Parigi, Mohammed Moussaoui, ha condannato la manifestazione non autorizzata davanti all’ambasciata americana.

«So che le immagini che vediamo in tv sono preoccupanti - ha detto il presidente Barack Obama nel tradizionale discorso radiofonico settimanale- ma non scordiamoci che per ogni folla in collera ci sono milioni di persone che aspirano alla libertà, alla dignità e alla speranza che la nostra bandiera rappresenta ». Aggiungendo però un messaggio «chiaro e risoluto al mondo: chi ci ha attaccato non sfuggirà alla giustizia».

E nel giorno in cui Al Qaida, i talebani pachistani e gli shabab somali invitano tutti i musulmani a uccidere i diplomatici Usa, il segretario di Stato americano, Leon Panetta agita il bastone e la carota. Annuncia infatti che gli Stati Uniti stanno dispiegando forze militari in 17/18 località del mondo islamico e si dice persuaso che «una manifestazione di estremisti non è necessariamente espressione del sentire di tutto un Paese, come in passato dimostrò per esempio il Ku Klux Klan negli Stati Uniti». «Dobbiamo essere preparati - ha spiegato Panetta - nel caso in cui le protese dovessero sfuggire di mano». Il segretario di Stato non ha fornito dettagli, tuttavia i media americani assicurano che il Pentagono ha già inviato 100 marine in Libia e Yemen e sta valutando se mandarne 50 anche in Sudan. Ma il primo no alle truppe Usa arriva proprio dall’estremo sud della penisola arabica. Il parlamento dello Yemen, infatti, boccia il piano Panetta ricordando «che è il governo di Sanaa a dover garantire la protezione delle ambasciate straniere nel Paese». Un rifiuto, motivato allo stesso modo, seguito a ruota da quello del Sudan.

Questo per quanto riguarda la reazione a eventuali nuovi assalti. Sul fronte delle indagini dirette a individuare gli organizzatori dell’attacco contro il consolato americano di Bengasi nel corso del quale ha perso anche la vita l’ambasciatore Chris Stevens, invece, la Cnn assicura che gli uomini del Fbi attesi in Libia nei giorni scorsi sono arrivati ieri sul posto.

In Italia il Viminale ha innalzato il livello di allerta sia per la tutela degli obiettivi sensibili e delle ambasciate e dei consolati (ma anche scuole, centri culturali, luoghi di culto e aziende) di Usa, Regno Unito e Germania.

Come alleata degli Usa, non è affatto esente da rischi.

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