Un carabiniere addetto alla sicurezza dell'ambasciata italiana nello Yemen è stato rapito ieri a Sana'a, la capitale dell'instabile paese della penisola arabica. Fonti autorevoli de Il Giornale spiegano che «era in borghese, fuori servizio e si trovava in un esercizio commerciale per comprare una scheda telefonica». Il carabiniere fa parte del 13° reggimento Friuli-Venezia Giulia con base a Gorizia. Il sequestro è avvenuto nei pressi dell'ambasciata italiana, che si trova ad Hadda, la zona elegante a sud ovest del centro. La nostra rappresentanza diplomatica ha riaperto da pochi mesi, dopo la ventata di primavera araba sfociata in sanguinosi disordini nella capitale. In febbraio è uscito di scena il presidente Ali Abdullah Saleh, padre-padrone del paese da 33 anni.
Il carabiniere sequestrato era responsabile della sicurezza dell'ambasciatore, ma non va confuso con il capocentro dei servizi segreti. La dinamica del rapimento non fa pensare ad una pista terroristica. Arhab Al-Sarhi, presidente dell'Associazione italo-yemenita, ha dichiarato al sito del Corriere della sera: «Escludo che Alessandro (il nome del carabiniere rapito, nda) corra pericolo di vita, i rapitori si faranno sentire nel giro di poche ore per utilizzare il sequestrato come merce di scambio. Non si tratta di un atto terroristico». In pratica sarebbe il classico rapimento yemenita organizzato da un clan familiare o tribale che prende in ostaggio un occidentale per ottenere qualcosa dal governo locale. In passato, quando lo Yemen era una meta turistica, sono stati decine gli italiani rapiti con questo obiettivo.
Una fonte anonima delle autorità yemenita ha dichiarato che il carabiniere «si trovava nei pressi della rappresentanza diplomatica quando è arrivato un commando a bordo di un'auto e lo ha trascinato via con la forza». La Farnesina ha rimandato subito a Sana'a l'ambasciatore Alessandro Fallavollita, che non si trovava nel paese.
Il rapimento è avvenuto in una giornata caotica per la capitale. Un centinaio di uomini armati appartenenti ad una tribù fedele all'ex presidente Saleh ha occupato il ministero dell'Interno. Il clan si è piazzato sul tetto e ha temporaneamente trattenuto alcuni funzionari per far pressione sul governo. Alla tribù era stato promesso un arruolamento dei suoi membri nella polizia dopo che avevano combattuto a fianco delle truppe governative contro le formazioni di Al Qaida nel sud. Però lo stesso clan era stato utilizzato da Saleh per reprimere al rivolta che lo ha costretto alle dimissioni. In febbraio al suo posto è stato nominato il vice, Abd-Rabbu Mansour Hadi, uomo degli americani che sta cercando di riformare le forze di sicurezza.
Il ministero dell'Interno si trova 8 chilometri e mezzo a nord dell'area dell'ambasciata italiana, dove è stato rapito il carabiniere. Difficile che si tratti dello stesso clan.
La pista più inquietante, ma meno probabile è quella di Al Qaida molto forte nello Yemen meridionale. Il 22 luglio era scattato nella capitale un allarme terrorismo per la segnalazione di possibili attacchi suicidi. L'ultimo kamikaze si è fatto saltare in aria proprio questo mese, all'ingresso di una scuola di polizia nella capitale, uccidendo 8 cadetti.
Al Qaida nello Yemen ha in ostaggio il diplomatico saudita Abdullah al-Khaledi, rapito ad Aden, la «capitale» del sud, dove ricopriva il ruolo di vice console. Ryhad ha già rilasciato cinque donne richieste dai terroristi, ma i sequestratori ne vogliono altre sette.
Nell'antico regno della regina di Saba si sono registrati circa 200 rapimenti di occidentali in 15 anni, in gran parte come arma di ricatto delle tribù. Nelle mani dei clan sciiti del nord, spalleggiati dall'Iran, c'è una donna svizzera sequestrata in marzo.
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