Da specialista con una lunga esperienza di oltre venticinque anni di casi di stati vegetativi, vorrei commentare alcune affermazioni della collega Rizzoli pubblicate ieri su «Il Giornale». Vorrei farlo al di là del caso Crisafulli, su cui è bene attendere il risultato dell'indagine avviata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari per avere un quadro preciso della situazione. La Rizzoli si rivolge al ministro della Salute perché, attraverso un provvedimento, impedisca di rianimare il malato destinato a rimanere in stato vegetativo. Con questo invito, l'autrice dell'articolo sembra avanzare delle perplessità sulla capacità dei rianimatori di distinguere tra l’opportunità di eseguire manovre di rianimazione dovute, e interventi di accanimento terapeutico. Ogni rianimatore, infatti, quotidianamente opera delle scelte che non prevedono interventi sproporzionati rispetto alle possibilità di recupero del paziente.
Nessuno può prevedere esattamente cosa succederà a un paziente in coma, e non esiste una correlazione sicura tra il danno cerebrale e la ripresa funzionale o il recupero della coscienza. Come si può, sapendo questo, lasciar morire un giovane che arriva al Pronto soccorso dopo un incidente senza intervenire? Come si può, quando esiste una concreta speranza, non attuare le manovre di rianimazione? Come si può stabilire in fase acuta qual è il punto di non ritorno?
Sulla definizione di stato vegetativo, poi, ci sarebbe molto da dire, e basta considerare i due casi citati. Salvatore Crisafulli non è nelle condizioni della Englaro: anzi, il fatto che i medici abbiano tardato a capire che Salvatore comprendeva bene quello che accadeva intorno a lui, deve ricordare a tutti quanto sia importante il principio di precauzione e quanto sia difficile a volte cogliere dei contenuti di coscienza in pazienti che apparentemente non rispondono agli stimoli dall'esterno.
È mia esperienza personale, ed esperienza comune per chi si occupa di questi pazienti, che alcuni stati vegetativi che recuperano la coscienza anche dopo molti mesi, si risvegliano in una condizione di locked-in, in cui il paziente è cosciente ma non può muovere né la bocca né le braccia né le gambe, ed è in grado di comunicare solo attraverso lo sguardo.
In questo campo l’errore diagnostico tra stato vegetativo, di minima coscienza e locked-in è frequentissimo (circa il 40% delle diagnosi risultano errate, secondo recenti pubblicazioni scientifiche) e con strumenti più raffinati di indagine, come dimostrano le ricerche di Adrian Owen condotte con la risonanza magnetica funzionale, si può magari scoprire che esistono forme di attività cerebrale insospettate, in pazienti da cui si riteneva di non poter avere nessuna risposta.
Crisafulli oggi ha rapporti con l'esterno, attraverso un comunicatore, e possiamo sapere cosa pensa e cosa vuole. Da tempo la comunità scientifica ha abbandonato la definizione di stato vegetativo permanente, proprio perché nessuno può davvero stabilire qual è l'intervallo temporale massimo oltre il quale non è possibile alcun recupero della coscienza. Vorrei poi sottolineare che l'aggettivo «vegetativo» non ha il significato, che spesso gli viene attribuito, di «vegetale». Il termine «vegetativo» è legato al fatto che in queste persone continua a funzionare il sistema neurovegetativo, e non significa che queste persone siano inerti come vegetali: chiunque abbia un'esperienza in questo campo se ne può rendere conto ogni giorno.
Ho fatto parte delle due commissioni che hanno lavorato al ministero del Welfare - ora Salute - attivate dal sottosegretario Roccella. Una, composta da esperti del settore provenienti da tutta Italia, ha prodotto un documento corposo, che ha trattato vari aspetti della problematica delle persone in stato vegetativo e di minima coscienza: da quello scientifico, a quello epidemiologico, a quello del percorso di assistenza. Dell'altro tavolo di lavoro hanno invece fatto parte molte associazioni di familiari delle persone in queste condizioni: le conclusioni del lavoro saranno raccolte in un libro bianco. Quando i due documenti saranno resi pubblici, potrà essere l'occasione per tutti quelli che lo vorranno di conoscere meglio questa problematica.
Intanto, se la politica volesse intervenire, sarebbe bene che lo facesse cercando di non far chiudere il Santa Lucia, la struttura di cui faccio parte.
*primario Unità post-coma Ospedale di riabilitazione
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