Eto’o-Ibra Sorriso contro ghigno

(...) infortuni: l’ultimo dura da tre settimane. Nel derby contro l’Espanyol, Ibra ha giocato dieci minuti. «Il tanto per ricominciare dopo tre settimane senza allenamento», ha spiegato Guardiola.
Ed ora che a Milano ci arriva in autobus, anziché sul solito lussuoso jet, sembra quasi che il destino abbia lanciato un segno. Ibra se n’è andato inseguito dalla maledizione del perdente (in Champions ovviamente). Eto’o ha lasciato Barcellona con le stellette dell’uomo che decide e non perdona. Ibra fuggitivo inseguito dalle «tenerezze» dei tifosi: brutto ruffiano e mercenario, pagliaccio e bugiardo. Samuel rimpianto dalla gente della curva. Certo, sul suo conto giravano storie circa divagazioni e affini, ma le medie gol erano carta che canta. Reti indimenticabili: 130, che ne fanno il terzo marcatore di sempre del Barça. Altro modo di congedarsi, pur se Guardiola non ne voleva più sapere fin dall’anno prima. Anche se lui ha risposto lasciandogli in eredità la prima rete al Manchester United, valsa la Champions.
Ma ora è un’altra storia. Eto’o se la sta gustando, pur essendosi adattato ad un gioco diverso. Mourinho lo ha costretto al ruolo di un Domenghini del calcio moderno, ma con diverso l’istinto del gol. E chissà... racconta lui: «Nella vita sognare è lecito. E l’Inter vuole che si avveri un sogno, anche se il dio del calcio sta a Barcellona e si chiama Messi. E la squadra più forte del mondo è ancora il Barça».
Ibra arriva sorseggiandosi la storia che ha immaginato fin dall’inizio: disputarsi la Champions. Non sarà lui contro tutti, ma è come lo fosse. Un giorno ha raccontato: «Al Barça ci si diverte giocando. È fantastico. Rispetto all’Inter, qui sei chiamato sempre a fare di più per continuare a giocare bene a calcio. Qualunque sia il risultato».
Dieci giorni per far di conto: andata e ritorno. Pullman o jet? Vincente o perdente. Eto’o lo ha promesso: «Sono qui per vincere la Champions».

Ibra ci punta: «Non ho mai vinto, ora voglio vincere». In due hanno segnato 35 gol. Ibra qualcuno in più rispetto all’altro.
Messi, da solo, è a quota 40. Lo voleva Moratti, lo ha preso La Porta. Un segno del destino. Forse.

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