Sarà anche vero, come sostiene Romano Prodi, che la bocciatura del Mes in versione salva -banche è «un gesto folle», che all’Italia costerà molto in termini di relazioni in Europa e di maggiore costo del debito. A quanto è dato capire, però, i mercati non ne sono sconvolti. Al punto che, in risposta agli strepiti delle opposizioni e alle sciocchezze telediffuse da Elly Schlein su una materia che evidentemente padroneggia poco, ieri lo spread Btp-Bund, termometro formidabile degli umori dei grandi investitori internazionali, non solo non ha registrato sussulti verso l’alto segnalando preoccupazione, ma addirittura ha rotto verso il basso quota 160 che non vedeva dal marzo 2022, fermandosi in serata a 154,9. Per non dire della reazione della Borsa azionaria, che ha visto Piazza Affari tenere la barra dritta (+0,26%) più agevolmente che nel resto d’Europa.
Significa che la grande finanza plaude alla decisione dell’Italia di negare la firma al salva -banche? Non è questo il punto. Di là delle singole opinioni, evidentemente in questa fase i grandi investitori giudicano la mancata en trata in vigore del salva-banche una condizione non sufficiente a minare la stabilità dell’Unione europea. In fondo, il Paese maggiormente interessato all’attivazione del Mes in versione salva-banche è guarda caso la Germania, che sin dai tempi della crisi che sconvolse le economie mondiali nel 2008-2011 è nota per avere un sistema bancario afflitto da criticità patrimoniali ancora oggi non risolte fino in fondo. Sicché, semmai alcuni istituti regionali dovessero entrare in crisi, il modesto debito tedesco consentirà di risolvere il problema con risorse pubbliche, come del resto già avvenuto nel 2019 con il beneplacito di Bruxelles nel caso tanto criticato della NordLB.
Quanto ai mercati, evidentemente a loro interessano di più i contenuti di una nota del Tesoro diffusa ieri secondo la quale, contrariamente ad alcune previsioni peggiorative circolate nei giorni scorsi, nel 2024 le emissioni lorde complessive di titoli di Stato italiani si collocheranno in un intervallo fra 340 e 360 miliardi, quindi perfettamente in linea con quelle del 2023. Oppure nelle loro valutazioni fa premio il generale clima di fiducia dei consumatori che secondo l’Istat riaccendono quello delle imprese, i cui umori erano in caduta da almeno quattro mesi.
Fatti concreti, insomma, sulla base dei quali è possibile pianificare investimenti che ragionevolmente produrranno profitto. Gli strepiti da campagna elettorale, che vedono in prima linea anche economisti progressisti come Tito Boeri che parla con troppa disinvoltura di «scelta sconsiderata» sul Mes, di questi tempi nelle trading room non fanno molta presa. Soprattutto se a scagliare quei giudizi sono figure, come appunto Boeri, che fino a qualche giorno fa stigmatizzavano la possibilità che il governo italiano brandisse il veto sulla riforma del Patto di Stabilità e oggi ne criticano l’adesione, sebbene il ministro Giorgetti in zona cesarini sia riuscito a imporre condizioni meno punitive per l’Italia.
Sicuramente lo strappo sul Mes procurerà qualche ansia al ministro Giorgetti, quando nei prossimi mesi gli toccherà sedere accanto ai colleghi dell’Ecofin. E tuttavia, il blitz consumato nottetempo a Parigi dai colleghi Bruno Le Maire e Christian Lindner gli consentirà di guardarli fissi negli occhi senza imbarazzo alcuno.
D’altro canto, come suggeriva ieri Mario Monti sul Corsera, il governo ha una chance non da poco se mira alla rapida ricucitura con i partner più riluttanti.
Come? È un fatto che a differenza della Bce che è «vigilata» dal Parlamento europeo, Il Mes - quale istituzione intergovernativa - soffre di un deficit di democrazia che non piace a molti. E trattandosi di strumento capace di interventi molto pervasivi, basterebbe che il governo Meloni facesse propria la proposta di introdurre un adeguato correttivo per rendere accettabile a tutti il nuovo Mes.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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