Che non fosse il mio scaldabagno a inquinare il mondo e che l'Europa ci avesse raccontato la favola dell'elettrico come panacea di tutti i mali quando l'unico effetto per ora è aver messo in ginocchio il capolavoro che avevamo costruito nel Novecento, l'industria dell'auto migliore del pianeta, lo sapevamo. Ma da un po' di anni l'ideologia green e i suoi mostriciattoli, che ci hanno torturato giorno e notte con queste idiozie sul Bene e il Male, da Greta Thunberg a Frans Timmermans, cacciato dai suoi stessi elettori, sembrava inscalfibile. Un monoteismo fanatico che, anziché occuparsi di veli, si occupava di capote. Quindi sarà anche una vittoria, mutilata, come dicevano gli storici finché la Storia era Storia, ma pur sempre una vittoria è. Ed è una vittoria politica che dimostra due cose. Esiste in Europa una maggioranza di centrodestra che può governarci meglio della sinistra stiracchiata su woke e luoghi comuni. E il governo Meloni con i suoi «no» ha introdotto un antidoto al virus che ha contagiato i sogni dell'Unione di diventare super potenza politica. Oggi l'Italia dimostra che i dubbi di Matteo Salvini sul «poter fare di più» non solo sono giusti, ma hanno spazio politico.
E che il lavoro silenzioso di Antonio Tajani, vicepresidente del Ppe, modella il grande centro europeo dandogli sempre più un assetto politico capace di dimostrare che l'asse con i conservatori non funziona solo a Roma ma è una grande risorsa in quella Bruxelles soffocata da burocrazie, dogmi e scartoffie. Sarà anche un primo passo, sarà insufficiente. Ma è sempre meglio del coma profondo da cui usciamo.