Dopo gli Europei

di Riccardo Signori
È andata bene. Lo ha detto Franco Arese, che è il presidente dell’atletica italiana, e tanto vale sottoscriverlo. Poteva andar meglio. Ma di poco. O anche peggio e sarebbe stato un disastro. Torna dagli europei un’Italia color azzurro-sorrisetto, con scorta di ottimismo, un attestato di buona volontà e un solo cattivo esempio: leggasi Alex Schwazer, che campione lo è anche se non vince. Ma sta prendendo il vezzo dei bambinelli viziati: se non vinco, non vale.
Il mondo dei re e dei principi non è cosa nostra. Le terra dell’atletica nostra è arida, tante promesse ma pochi talenti, eppur qualche fiorellino prende forza. Sei medaglie e 24 finalisti, poche controprestazioni a fronte di qualche miglioramento: c’è il tanto per non sentirsi ultimi della classe. Si sono battuti i giovani ed è già una buona notizia. Niente male la truppa bergamasca: da Vassilli alla Milani, gente che corre nei 400 della morte lenta, dunque tosti. Indomiti vecchietti hanno inseguito l’ultimo sogno: Vizzoni ce l’ha fatta, Baldini si è disfatto, Checcucci è stato uno straordinario nonnetto sprint che si è lasciato andare all’estasi, dopo tanti anni passati ad abbaiare alla luna. Abbiamo visto atleti aggrappati al non mollare mai, ragazze risbucate dalla penombra di tanti infortuni, Andrew Howe scalpitare per ritrovare i suoi risultati, nonostante un allenamento approssimativo. Pochi musi lunghi e tante speranze.
Poi c’è il re della delusione. Stavolta la croce serve per Alex Schwazer. Altro che coccolarlo e giustificarlo. Oggi ci vorrebbero schiaffoni, quanti ne meriterebbe un bambinello viziato. Non hanno sconsolato i risultati, ma il modo di comportarsi e parlare. Uno show di troppo.
Alex ha perso. Non sulla strada, non davanti agli avversari. La medaglia d’argento, nella 20 km, è stato un buon risultato per un atleta che ne aveva sempre fatto la sua prova di scorta. Il ritiro nella 50 km ci può stare, tradito dai crampi e forse da una ottimistica valutazione della fatica. Ma quel parlare da eterno sconfitto della vita e dell’atletica, quel rinunciare al modo guascone di proporsi che lo ha reso piacevole e simpatico, un pelouche per tutti gli amanti dell’atletica, quel dire «non mi diverto più», «il mio corpo non vuol faticare», quel piangersi addosso, sta diventando abitudine da primadonna più che un’autofustigazione.
Alex altre volte è finito in depressione dopo gare che non gli sono piaciute. All’inizio poteva essere un difetto della giovinezza, poi la voglia di vincere, ora sta diventando l’incapacità di accettare la superiorità altrui, le debolezze proprie e l’idea di perdere e vincere nello sport: un difetto da Superman dei poveri.
Un campione che ti dice «non mi diverto più, tutto è scontato», a soli 25 anni, non è un buon esempio. E allora gli ultratrentenni che lottano ed hanno lottato per inseguire i sogni, cosa dovrebbero raccontare? Baldini ci ha provato fin alla soglia dell’impossibile. La Ottey sarà eccessiva, ma sa divertirsi con poco.

La testa di Alex è dura e un po’ complicata, il tipo non si risparmia in allenamento, ma le parole in libertà di Barcellona sono state il rigetto di una filosofia e un tradimento per tutti quei ragazzi, vecchi e giovani, che hanno soffiato insieme per vedere un cielo più azzurro. Da quando c’è Arese presidente, è la prima volta che la squadra dà qualche segnale di risveglio. Schwarzer si riscatti o si tolga di mezzo.

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