Erica Orsini
da Londra
Ci sono casi eccezionali in cui il diritto alla vita non va preservato ad ogni costo. Con una presa di posizione ufficiale senza precedenti la Chiesa dInghilterra interviene nel delicato dibattito sulleutanasia a favore di bimbi prematuri nati con gravissime anomalie. E lo fa emettendo un giudizio destinato a sollevare grandi polemiche poiché per la prima volta un vescovo ammette che il diritto alla vita non è assoluto. Soltanto una settimana prima il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists aveva proposto una discussione pubblica sullipotesi di consentire leutanasia per neonati affetti da patologie gravissime come nel caso della piccola Charlotte Wyatt, nata prematura di tre mesi. La bimba pesava pochissimo e aveva subito dei gravissimi danni al cervello e ai polmoni. I suoi genitori si erano rifiutati di lasciarla morire sebbene i medici fossero convinti che si trattasse della soluzione più caritatevole. Ora, secondo quanto ha riportato ieri il domenicale The Observer, in una relazione a firma del vescovo di Southwark, il reverendo Tom Butler, la chiesa anglicana ammette che esistono delle circostanze in cui è giusto scegliere di sospendere o rifiutare le cure, anche sapendo che il risultato di questa decisione sarà con molta probabilità la morte. «Esistono dei casi avrebbe dichiarato il vescovo in cui per un cristiano, la compassione ha la priorità sulla regola generale secondo cui la vita va comunque preservata». Pur rimanendo certi che la vita di ogni essere umano abbia un valore, i leader religiosi anglicani con queste affermazioni tracciano una svolta epocale ammettendo che in «rari casi» è meglio porre fine ad una vita dinfinita sofferenza piuttosto che prolungarla artificialmente.
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